Esercito, al premier Abe l’autodifesa non basta più

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TOKYO. Le dichiarazioni del primo ministro Abe, all’indomani del ritorno al governo della balena gialla, suscitano nei giapponesi un senso di imbarazzo che ha un precedente soltanto nei moti patriottici del compianto Mishima Yukio: dopo la presa di posizione nei confronti della banca del Giappone e della riforma economica, adesso tocca alla costituzione. Al centro del contendere, il famoso «articolo nove» che viene spesso tirato in ballo dai nazionalisti dell’ultima ora quando si verificano problemi e incidenti gravi di natura internazionale. Per problemi e incidenti si intendono casi come quelli delle isole Senkaku e Takeshima contese rispettivamente con la Cina e la Corea, oppure il recente attacco terroristico al campo petrolifero algerino di In Amenas dove hanno perso la vita dieci cittadini giapponesi che lavoravano per la società  nipponica di costruzione di siti petrolifici Nikki.
«Non perdoneremo i terroristi», ha detto il primo ministro all’indomani della strage in Algeria. Un messaggio ben preciso al proprio elettorato e che ha riaperto la questione dell’esercito. L’articolo nove della costituzione giapponese, che regolamenta l’esercito di autodifesa, il jieitai, recita: «il popolo giapponese rinuncia per sempre alla minaccia di un uso della forza per risolvere le dispute internazionali». In altre parole, l’esercito giapponese non può in nessun caso attaccare un’altro paese, ma può solo difendere i confini nazionali in caso di attacco. Più volte, in particolare negli ultimi anni, i governi liberal-democratici hanno cercato di modificare quest’articolo, proponendo di volta in volta delle soluzioni che ne alterassero anche di poco la struttura. Ora la questione torna a galla, tra le proposte avanzate quella più radicale chiede di cancellare definitivamente il jieitai per un nuovo esercito con delle nuove regole di ingaggio. La notizia è stata inserita tra le pagine di qualche quotidiano per finire il giorno dopo nel dimenticatoio, ma il primo ministro Shinzo Abe non si arrende e continua a ripetere che «è necessario per il bene dei giapponesi avere un’esercito non azzoppato».
Se mai si farà  la modifica all’articolo nove richiederà  comunque del tempo.
Quest’esercito, forse l’unico al mondo ad avere una struttura del genere, è uno dei meglio armati e finanziati al mondo. Ma non gode di particolare stima tra i giapponesi, specie tra i giovani propensi a definirlo un covo di ignoranti e fascisti. L’opinione pubblica giapponese in effetti non si sente minacciata: il fuoco di paglia nord coreano non durerà  ancora per molto mentre la Cina, con le «sue» isole Senkaku (proprio come il Giappone) ha utilizzato il problema per fini propagandistici (cambio di leadership all’interno del partito comunista ed elezioni di dicembre in Giappone). Il braccio di ferro tra i due paesi serve a l’uno e all’altro per dimostrarsi forti.
Ieri tra le ultime scintille per un episodio avvenuto lo scorso 30 gennaio nel mar Cinese orientale: un cacciatorpediniere giapponese sarebbe finito nel radar di puntamento di una fregata cinese, come fosse un vero «bersaglio», lancia l’allarme la marina militare. Le autorità  nipponiche alzano la voce, una protesta che segue di poche ore la convocazione dell’ambasciatore cinese nel Sol Levante per il blitz, il 25mo, operato lunedì da due motovedette della sorveglianza marittima di Pechino nelle acque territoriali dell’arcipelago disabitato.


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