Fine delle primavere arabe In Libia torna la poligamia
La sezione costituzionale della Corte Suprema di Tripoli reintroduce la poligamia in nome della legge musulmana. Un passo controverso, che spiazza i sostenitori più liberali della rivoluzione contro la dittatura di Muammar Gheddafi due anni fa e tinge ancor più di verde-Islam i nuovi regimi frutto delle «primavere arabe» in Medio Oriente. Una parte della società civile libica promette battaglia. A Tripoli la trentina di donne nominate tra i 200 parlamentari dalle prime elezioni libere il 7 luglio scorso vorrebbero reagire. A Bengasi sono in corso riunioni tra associazioni degli avvocati, studenti, ordini professionali e attivisti delle prime sommosse nel febbraio 2011. «In Libia prevale la consuetudine della famiglia mononucleare. Anche se la legge adesso lo permetterà , sono pochissimi gli uomini che vorrebbero avere più mogli. Certo quasi nessuno nelle città », commenta per telefono da Tripoli la deputata Lutfiah al Tabib, legata al fronte laico di Mahmoud Jibril.
Ma il massimo organismo giuridico libico segue con coerenza l’intenzione di applicare fedelmente la sharia (la legge islamica) già espressa a chiare lettere il 28 ottobre 2011 da Mustafa Abdel Jalil, l’allora leader del Consiglio nazionale transitorio che si era dato il compito di traghettare il Paese dal caos della guerra civile alla democrazia. Fu allora infatti proprio Jalil nel suo celebre «discorso della vittoria» ad annunciare che nella «nuova Libia» ogni uomo avrebbe avuto il diritto di sposare sino a quattro mogli nel pieno rispetto del Corano. A suo dire, era questo uno dei tanti provvedimenti mirati a cancellare per sempre il retaggio della dittatura di Gheddafi. Quest’ultimo, specie nella prima fase più socialista e «nasseriana» del suo quarantennio al potere, aveva cercato di concedere alcune migliorie allo status delle donne, introducendole massicciamente nel mondo del lavoro e appunto limitando, per quanto era possibile in una società tribale come quella libica, la poligamia: gli uomini potevano avere sino a quattro matrimoni, ma solo previo il consenso della prima moglie o l’approvazione di un giudice. In realtà , specie nelle zone desertiche e tra i villaggi ancora legati alle tradizioni, con il passare degli anni la questione era stata lasciata nelle mani dei leader religiosi locali. Ora la Corte Suprema decreta invece che la sharia torna ad essere autorità massima ed inappellabile in materia.
«È un decreto inammissibile. Tradisce lo spirito della rivoluzione. Noi donne libiche finiremo come le egiziane vessate sotto il tallone dei Fratelli Musulmani. Ci siamo riunite in tante a Bengasi appena sentito le notizie da Tripoli. Nei prossimi giorni indiremo manifestazioni di protesta. Ma vogliamo farlo in modo coordinato con il resto del Paese», commenta dal capoluogo della Cirenaica Najla Ilmangoush, militante della rivoluzione sin dai primi giorni e oggi impiegata di un’agenzia umanitaria non governativa occidentale. La preoccupazione per gli attivisti per la difesa dei diritti umani è però che i pesanti problemi che attentano alla stabilità interna del Paese mettano in ombra la battaglia contro la poligamia. «La politica passa in primo piano», osservano. Non hanno tutti i torti. A sette mesi dalle elezioni non è ancora stato definito il meccanismo di nomina per i 60 membri che dovrebbero comporre l’Assemblea costituente. Negli ultimi giorni si è deciso che ciò dovrebbe avvenire con una nuova tornata elettorale nazionale entro la fine dell’estate. Creando inevitabili ritardi al processo politico. Intanto crescono le tensioni in vista del secondo anniversario della rivoluzione tra il 15 e 17 febbraio. La polizia è in allarme. Si temono manifestazioni violente. Diverse compagnie aeree straniere, tra cui Alitalia, hanno sospeso i voli per la Libia.
Lorenzo Cremonesi
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