I truffatori delle quote latte ci sono costati 4,5 miliardi

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La giustizia farà  certamente il suo corso. Confidiamo che i magistrati impegnati nell’inchiesta sulle quote latte, che nei giorni scorsi ha scatenato una tempesta politica, individueranno e puniranno i responsabili di una delle più clamorose truffe del nuovo secolo. Nel frattempo, ai cittadini italiani resta sul groppone il conto astronomico che i furbetti del latticino hanno fatto pagare finora allo Stato. Tenetevi forte: 4 miliardi 494 milioni 433.627 euro e 53 centesimi. Ovvero, 75 euro e 62 centesimi per ogni italiano, neonati compresi. Una somma che basterebbe a soddisfare il fabbisogno di latte fresco dell’intera nazione per un anno. Il calcolo l’ha fatto la Corte dei conti in una relazione appena sfornata, nella quale, oltre a numeri terrificanti, c’è una cattiva notizia. Rassegniamoci: recuperare quei soldi sarà  quasi impossibile.
Esattamente trent’anni fa, nel 1983, la Commissione europea stabilì per la produzione di latte delle quote nazionali, con la motivazione che un’eccessiva quantità  sul mercato avrebbe fatto crollare i prezzi. Per chi non avesse rispettato il plafond erano previste multe salate. L’assegnazione delle quote, com’era intuibile, finì per favorire i Paesi nordici. Ma i produttori italiani, invece di adeguarsi alla nuova situazione, continuarono come se nulla fosse accaduto. Risultato: dopo 12 anni si erano accumulate multe per l’equivalente attuale di circa 2 miliardi di euro. Il caos era totale. C’erano ritardi nell’adeguamento delle normative, dati taroccati, latte che arrivava dall’estero ma figurava italiano, quantitativi enormi di prodotto non fatturato… Che fare? Il governo accollò il conto all’Erario. Da allora in poi, però, gli allevatori che non avessero rispettato le quote, avrebbero dovuto pagare. Eccome.
Peccato che quasi nessuno, dal 1996, ha pagato. Mentre l’Unione europea continuava a incassare dallo Stato italiano i soldi delle multe, che scontava direttamente dai trasferimenti dovuti ai nostri agricoltori. La Corte dei conti dice che dal 1996 al 2010 «l’onere che l’Italia ha sopportato» per «gli esuberi produttivi accertati è quantificato dai 2.537 milioni di euro, versati alla Commissione». Denari che, prevede la legge, avrebbero dovuto restituire gli allevatori «splafonatori», ai quali sono state concesse ripetute agevolazioni, come quella di pagare in comode rate. Ma finora «il recuperato effettivo», avverte la Corte, «è trascurabile».
Il fatto è che ogni mezzo è stato buono per aggirare gli obblighi. Proroghe su proroghe, inefficienze degli organi preposti a far pagare, ricorsi e controricorsi. Per non parlare del valzer dei commissari ad hoc nominati di volta in volta dal governo. E dell’incredibile vicenda toccata all’ex senatore leghista Dario Fruscio, messo dal suo partito a capo dell’Agenzia incaricata di riscuotere le multe, e prontamente rimosso quando si è scoperto che le voleva far pagare sul serio. Ecco che cosa scrivono i magistrati contabili: «Costante è risultata, nel corso degli anni, l’interpretazione delle leggi vigenti da parte delle amministrazioni a favore dei produttori eccedentari». Fino all’ultima norma passata nel 2009, quando era ministro dell’Agricoltura il leghista Luca Zaia, attuale governatore del Veneto, che ha privato Equitalia del potere di riscossione. Riesumando addirittura, per il recupero delle somme dovute, le procedure bizantine di un regio decreto del 1910: centrotré anni fa.
Niente male, considerando che qui hanno scorazzato indisturbati anche i truffatori, responsabili di aver caricato sulle spalle degli ignari contribuenti centinaia di milioni di multe non pagate. Cooperative nate e fallite a ripetizione, migrando per tutto il Nord da Cuneo a Pordenone, inseguite dalla Finanza, dai giudici contabili, dai magistrati. E tutto alla faccia degli allevatori onesti. I quali hanno anche sborsato, dice la Coldiretti, la bellezza di 1,8 miliardi per rilevare o affittare le quote.
In tutta questa storia, anche se la Corte dei conti lo fa appena intuire, ci sono precise ed enormi responsabilità  politiche. Perfino rivendicate da Umberto Bossi, il quale due anni fa prometteva sul pratone di Pontida ai Cobas del latte: «Non vi ho dimenticati. La Lega risolverà  i vostri problemi». Il rapporto fra Carroccio e Cobas è stato sempre strettissimo. Lo dimostrano i finanziamenti al partito da parte di associazioni quali la Emilat del parlamentare leghista Fabio Ranieri. Ed è incarnato, quel rapporto, nella figura di Giovanni Robusti, storico leader dei Cobas, nel 1994 senatore della Lega cui venne perfino affidato l’incarico di presidente della commissione d’inchiesta sull’Aima, poi nel 2008 europarlamentare. Giusto un mese fa la procura della Corte dei conti ha chiesto di condannarlo a risarcire 182 milioni all’erario per la vicenda delle quote latte in Piemonte dove alcune cooperative battezzate «Savoia» figuravano fittiziamente come acquirenti del latte prodotto in eccesso da alcuni allevatori. A fine giugno 2012 Robusti si era già  beccato quattro anni e mezzo di carcere nel processo d’appello che lo vedeva imputato.


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