Il dilemma nucleare Biden apre all’Iran

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MONACO DI BAVIERA — È un dialogo cauto, perché da entrambe le parti si chiede preliminarmente di essere seri e costruttivi, ma si è aperto uno spiraglio per l’avvio di colloqui diretti tra Washington e Teheran sul programma nucleare iraniano. Tutto questo è avvenuto a Monaco, alla conferenza per la sicurezza che riunisce ogni anno esponenti di governo di tutto il mondo ed esperti nel campo della difesa. I protagonisti sono stati il vice presidente americano Joe Biden e il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi, che ha annunciato anche la prossima riunione dei negoziati con il gruppo 5+1 (Russia, Cina, Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania) in Kazakistan, il 25 febbraio. «Vi posso dare — ha detto — una buona notizia».
L’Iran, insomma, è disponibile a prendere «in seria considerazione» l’offerta arrivata dal vice di Barack Obama. Lo ha fatto alla sua maniera, scaricando sugli Stati Uniti l’obbligo di dimostrare davvero l’intenzione di voler «risolvere i problemi». Le parole di Salehi, che ha definito «un passo avanti», la proposta del numero due dell’amministrazione americana, sono state accolte in ogni caso con molto interesse, anche se il ministro degli Esteri del regime degli ayatollah non ha evitato, nel panel in cui partecipava alla conferenza, di circondare con la solita cortina fumogena gli interrogativi più pressanti sugli obiettivi reali del programma nucleare di cui ha ribadito invece gli scopi «civili». «L’onere della prova spetta all’accusa», ha detto, sullo stesso palco dove il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak aveva definito un’ora prima l’Iran «una minaccia per tutta la comunità  internazionale». «I dirigenti iraniani sono buoni giocatori di scacchi», ha poi aggiunto Barak riferendosi alle mosse della leadership di Teheran. Un appello per la ripresa dei negoziati era stato rivolto a Salehi anche dal ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi.
In questa partita, comunque, non è passata inosservata, la decisione dell’ex rappresentante iraniano all’Aiea di incontrarsi con il presidente della coalizione nazionale siriana, Moaz al Khatib, del quale ha detto di avere apprezzato la disponibilità  a sedersi allo stesso tavolo con i rappresentanti del regime di Bashar Assad. I primi passi della nuova presidenza Obama sembrano quindi venire incoraggiati da alcuni cambiamenti nel linguaggio dell’Iran, che insiste nel rivendicare il proprio ruolo importante negli equilibri della regione ma evita di chiudere quella «finestra» che Biden aveva detto di voler tenere aperta, anche se non a tempo indeterminato. Un’altra difficile sfida del secondo mandato del presidente americano sarà  naturalmente la Siria, una crisi che ha provocato in ventidue mesi 60.000 morti. Ma anche in questo caso sono stati valutati positivamente, sempre a Monaco, i segnali di un atteggiamento più costruttivo della Russia sui possibili scenari dell’uscita di scena di quello che Biden ha definito «un tiranno determinato a mantenersi al potere».
Paolo Lepri


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