Il Pd infastidito dalle condizioni di Monti

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A Largo del Nazareno l’impennata di Monti era ampiamente preventivata, anche perché i dirigenti del Partito democratico sono convinti che «il vero rischio» del fronte moderato sia quello di «spappolarsi» all’approdo in Parlamento. L’eventualità  che ognuno vada per conto suo viene data per altamente probabile. Come la prospettiva che basti poco per agganciare qualche montiano e avere la maggioranza a prescindere da Mario Monti e Pier Ferdinando Casini. Quindi per i dirigenti del Pd è normale che il premier reagisca così di fronte alla prospettiva di una divisione del suo schieramento addirittura prima delle elezioni.
Non è questo che ha infastidito i vertici del Partito democratico. A esasperare è stato l’atteggiamento — ritenuto «arrogante» — con cui il presidente del Consiglio ha dettato le sue condizioni per un appoggio al Pd nella legislatura che verrà . Dovrà  proseguire la riforma del lavoro avviata dal governo Monti, è stata la richiesta, fatta in termini perentori. Di qui le reazioni dure di due esponenti del Pd che tra loro hanno poco a che spartire: il lettiano Francesco Boccia e l’ex Cgil Cesare Damiano. Dice il primo: «Monti è ossessionato dalla nostra coalizione». E per questa ragione il premier conduce «attacchi scomposti» contro il Pd, che però «avvantaggiano solo il Pdl, la Lega e il Movimento 5 Stelle». E Damiano rincara: «Monti si scordi che noi possiamo sottoscrivere sui temi del lavoro le proposte di Ichino a cui abbiamo già  detto di no. Il presidente del Consiglio non può porre condizioni».
E quest’ultima considerazione dell’ex ministro del governo Prodi è sottoscritta da tutti (o quasi) nel Partito democratico. Perché, come spiega il responsabile economico Stefano Fassina ad alcuni colleghi parlamentari del Pd, «gli elettori decideranno quale sarà  la piattaforma, e gli altri seguiranno». Ossia: sarà  il partito che otterrà  più voti e vincerà  le elezioni — ovvero il Pd — a stabilire il ruolino di marcia, anche nel caso in cui, per le imperfezioni del Porcellum, al Senato non dovesse esserci una maggioranza ben definita.
Sprezzante anche Anna Finocchiaro: «Monti fa solo demagogia a buon mercato». La risposta di Nichi Vendola, come era ovvio, visto che il bersaglio del premier è l’alleanza tra Partito democratico e Sel, è ancora più netta. Il presidente della Regione Puglia si rivolge direttamente a Monti e gli dice irridente: «È vero, sei un grande esperto del lavoro. Con te abbiamo mezzo milione di disoccupati».
Non bisogna però dimenticare che si tratta sempre di schermaglie da campagna elettorale. È vero che Bersani non ne può più di quelle che definisce le «docce scozzesi» che il premier riserva al Pd. Come ne ha fin sopra i capelli della «storia che l’Europa vuole Monti e non noi»: «Non è vero», ripete fino alla nausea il segretario del Pd. Che poi ricorda al presidente del Consiglio un particolare: «Noi veniamo bersagliati per l’alleanza con Vendola, ma chissà  perché poi lui non si fa vedere in giro con Fini e Casini che non sono esattamente espressione del nuovo e della società  civile».
Però la verità  è che, «al di là  di tutte le schermaglie elettorali», in un modo o nell’altro, nel Parlamento o nel governo, «l’unica opzione possibile è un’alleanza centrosinistra-Monti».


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