Ingroia pronto ad andare avanti, verso l’addio alla toga

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ROMA — Potrebbe essere questione di ore. O al massimo di qualche giorno. Poi Antonio Ingroia farà  la scelta della sua vita, o definitivamente in politica, ancora leader di Rivoluzione civile, o di nuovo in magistratura. Perché entrambe le cose non le può fare. Le regole delle toghe sono rigide, o si sta dentro garantendo un’immagine di assoluta imparzialità , o si sta fuori e a quel punto si fa quel che si vuole. Ma le due cose assieme sono impossibili, anche se Ingroia dovesse optare per una collocazione completamente diversa da quella che ha avuto per vent’anni, il ruolo di pubblico accusatore. Al Csm spiegano che se chiedesse di andare al civile e fare il giudice, egli non potrebbe al contempo restare il capo di Rc.
Del resto, la via per Ingroia pare già  segnata dalle parole che dice. Ancora ieri ecco un rilancio forte dell’avventura del suo movimento: «Continuiamo a lavorare con onestà  per cambiare l’Italia e cominceremo dal basso, per organizzare la rivoluzione civile dei cittadini». L’ex pm vede i suoi, ragiona sul futuro, prende atto delle defezioni — quella del sindaco di Napoli De Magistris, quella di Di Pietro — ma anche della piena disponibilità  di Ferrero con Rifondazione. Ma avverte anche l’ostilità , il vento negativo che spira dalla magistratura.
Dal Csm non lo hanno ancora chiamato.
Ma la sua aspettativa per motivi elettorali scadrà  quando saranno proclamati gli eletti. A quel punto, sarà  la metà  di marzo, verrà  invitato, se intende restare con la toga sulle spalle, a indicare una sede. In compenso, proprio dal Csm, gli è giunto un evidente segnale di guerra, una pratica disciplinare aperta su invito del procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani per aver accusato la Consulta di aver fatto una sentenza politica sullo scontro Napolitano- procura di Palermo per le famose telefonate Mancino-Napolitano. «Non ne sapevo nulla» replica Ingroia, «e comunque sono sereno, non ho commesso alcun illecito, ho solo espresso un’opinione. Mi auguro che il diritto di critica in Italia sia ancora consentito, anche ai magistrati». Sta di fatto che sulla testa di Ingroia cade un’altra tegola, dopo l’evidente ostilità  dimostrata dai suoi ex colleghi di Magistratura democratica.
Non basta. Anche l’Anm prende un’iniziativa che, se Ingroia dovesse restare in magistratura, finirebbe per interessarlo (e colpirlo) in prima persona. Il collegio dei probiviri del sindacato delle toghe, composto da nomi noti come quello di Armando Spataro, Pier Camillo Davigo, Federico Cafiero de Raho, Marco Pivetti, prende un’iniziativa che non ha precedenti. Chiede al Csm l’elenco di chi ha ottenuto l’aspettativa per ragioni elettorali per verificare se i colleghi hanno rispettato il codice etico della stessa Anm. Che impone una regola prioritaria, il divieto di scendere in lista dov’è stata esercitata la professione. Ingroia, capolista in tutta Italia compresa Palermo dove è stato procuratore aggiunto, avrebbe chiaramente violato il paletto. I probiviri, verificati i comportamenti irregolari, sono pronti a procedere con un processo disciplinare.


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