Intercettazioni, stop alla distruzione

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PALERMO — L’ostacolo adesso è un ricorso per Cassazione dell’imputato Massimo Ciancimino, per una presunta violazione del diritto di difesa. Il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia nel processo sulla cosiddetta trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra, ha chiesto di ascoltare le telefonate tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, intercettate casualmente nel corso dell’inchiesta. Il giudice gli ha detto di no, come già  aveva fatto la Procura, ma lui non s’è arreso e s’è rivolto alla Corte suprema.
Un passo annunciato ma non ancora riempito di contenuti, e però sufficiente a far decidere al giudice dell’indagine preliminare Riccardo Ricciardi di sospendere le operazioni di distruzione delle registrazioni previste per ieri. All’udienza nella quale era stato convocato il tecnico che avrebbe dovuto procedere alla definitiva eliminazione di quelle conversazioni, il magistrato ha stabilito il rinvio di un mese. Difficilmente per quella data la Cassazione avrà  deciso l’esito del ricorso che i legali di Ciancimino jr, Roberto D’Agostino e Francesca Russo, stanno già  preparando. E a quel punto si vedrà  quali saranno le determinazioni del giudice.
A due mesi e mezzo dal suo annuncio, dunque, l’ordine della Corte costituzionale resta ancora disatteso. «Le intercettazioni devono essere distrutte sotto il suo controllo», aveva sentenziato la Consulta, previa verifica di «eventuali esigenze di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà  personale e salvaguardia dell’integrità  costituzionale delle istituzioni della Repubblica». Verifica già  effettuata dal giudice Ricciardi: nelle conversazioni tra Napolitano e Mancino non c’è nulla che abbia a che fare con reati gravi, la possibilità  di scagionare innocenti o con ipotesi di accusa riferibili al capo dello Stato.
A fermare l’ordine di distruzione, però, sarebbe intervenuta un’altra esigenza invocata da Massimo Ciancimino: il diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione. Nonostante le valutazioni di irrilevanza già  effettuate dai pubblici ministeri (che per questo sono stati bacchettati dalla Consulta) e dal giudice, l’imputato — unico tra i dodici chiamati in causa nella vicenda della presunta trattativa — rivendica la possibilità  di ascoltare quelle registrazioni, per decidere lui se possono essere o meno utili alla sua posizione processuale. Perciò s’è rivolto alla Cassazione.
Tra il capo dello Stato e l’ex ministro Mancino, intercettato nell’arco di sei mesi in 9.295 colloqui, sono state registrate quattro telefonate, per un totale di 18 minuti di conversazione. Irrilevanti per l’indagine, tanto che i pm di Palermo non ne hanno nemmeno disposto la trascrizione. Ma sufficienti a scatenare un conflitto istituzionale approdato davanti alla Consulta. Napolitano sosteneva che erano state violate le sue prerogative, soprattutto se la Procura avesse avviato la procedura per la loro distruzione coinvolgendo le parti processuali, attraverso la quale sarebbe caduto il velo della segretezza sul loro contenuto. La Corte costituzionale ha dato ragione al presidente della Repubblica, sollecitando la cancellazione «al chiuso» di quelle registrazioni. Che però continua ad essere rinviata.


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