La democrazia del serpente

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Fra qualche settimana la Cina avrà  un nuovo presidente della Repubblica, Xi Jinping. Nominato alla testa del Partito comunista cinese (Pcc) durante il diciottesimo congresso nel novembre scorso, sarà  ufficialmente investito dall’Assemblea nazionale popolare (Apn) che si terrà  dal 3 al 10 marzo e che nominerà  anche il Consiglio degli affari di Stato (il governo), guidato da Li Keqiang, anch’egli membro dell’ufficio politico del Pcc. Quasi tutto è stato deciso durante il congresso, con sapientissimi giochi di equilibrio. Si sa invece poco circa gli assi portanti della politica futura: occorrerà  aspettare il discorso di Xi Jiping all’Apn e alcuni mesi di rodaggio per conoscere la via che il numero uno cinese e la sua équipe intendono intraprendere.
Attendendo l’assunzione ufficiale dell’incarico, Xi Jiping si è dedicato a plasmare di sé l’immagine di un uomo del popolo, semplice e pieno di buona volontà . Alla fine del congresso è andato a salutare i giornalisti e ha pronunciato un discorso a braccio, senza appunti. Uno stile rilassato, mai visto prima. Sua moglie, famosa in tutta la Cina, gli regala un tocco glamour, inedito presso i dirigenti cinesi: cantante dell’Armata popolare di liberazione (Apl), Peng Lyuan, 49 anni, era regolarmente l’ospite di punta in tivù per le celebrazioni del capodanno cinese. Di certo è più nota del marito.
Xi, il bastone da pellegrino
Dunque, il nuovo presidente ha preso il suo bastone da pellegrino, calcolando ognuna delle sue uscite, gestendo le apparizioni in tivù, giocando con i simboli. Ha compiuto il suo primo viaggio nel sud del paese – conosciuto per il dinamismo e lo spirito innovativo – alla maniera di Deng Xiaoping, che aveva lanciato le riforme e l’apertura del paese proprio durante un giro nella regione, alla fine degli anni 1970. Così Xi Jinping mostra deliberatamente di voler «approfondire le riforme», senza tuttavia precisare i contorni del cambiamento.
Egli ha anche colto l’occasione per sottolineare l’urgenza della lotta contro la corruzione che «minaccia le stesse basi del partito e della società ». Da allora, diversi responsabili del Pcc e funzionari sono stati rimossi, per esempio nel Sichuan, spesso con l’aiuto delle reti sociali. In effetti gli arricchimenti indebiti e i favoritismi hanno assunto proporzioni tali che la popolazione, non sopportandoli più, conduce vere e proprie crociate. E’ evidente che il presidente della Repubblica ha intenzione di fare grandi pulizie, il che significa rimettere in discussione molte posizioni acquisite. Un’operazione, dunque, non scontata.
Il suo secondo viaggio mediatizzato, Xi Jinping l’ha dedicato all’esercito. Nel pieno della querelle con il Giappone a proposito delle isole Senkaku/Diaoyou, e con le Filippine per l’atollo di Scarbourough (1), egli ha tenuto un discorso muscoloso e sorprendente su quello che chiama «il sogno cinese» della rigenerazione del paese che, ha precisato, «può essere considerato come il sogno di una nazione forte, e per i militari è il sogno di un esercito forte. Dobbiamo costruire il grande rinnovamento della nazione cinese, e dobbiamo assicurare l’unione fra un paese prospero e un esercito forte». Saranno contenti i nazionalisti cinesi, i quali consideravano l’ex presidente Hu Jintao troppo morbido nei confronti di Washington e Tokyo. La Cina gonfia i muscoli e rafforza le spese militari come il vicino giapponese, mentre gli Usa annunciano un dispiegamento delle proprie forze verso l’Asia (Asian Shift). Il gioco può diventare pericoloso.
Infine, per il terzo viaggio in provincia, il presidente ha visitato un villaggio rurale dello Hebei, una delle province più povere del paese. È passato di casa in casa e ha mangiato le patate cotte con il fuoco di legna mentre le telecamere della televisione ufficiale si soffermavano sulle abitazioni fatiscenti e sulla miseria degli abitanti. «Voglio sapere come si vive davvero nelle campagne» ha commentato Xi Jinping, promettendo riforme. Alcuni giorni dopo, ha incontrato i contadini e i migranti di Lanzhou (Gansu) che sono stati al centro dell’attenzione. Il governo uscente aveva annunciato i trentacinque punti di una futura riforma per una «nuova distribuzione dei redditi»: aumento del salario minimo, miglioramento salariale per i funzionari di base delle zone rurali, spese pubbliche per l’istruzione e la salute…Il calendario della messa in opera non è stato reso noto. Ma la nuova équipe non potrà  aspettare a lungo, tanto grandi sono il malcontento e, con esso, il rischio di una esplosione sociale.
Il conflitto sociale
Nel 2011 sono stati ufficialmente censiti oltre 180.000 «incidenti di massa»; due volte e mezza quelli del 2008…Il bilancio per la sicurezza è salito al livello delle spese militari, come se il «nemico interno» fosse ritenuto altrettanto minaccioso di quello esterno. Ma la repressione ha dei limiti. Il potere e i dirigenti delle grandi imprese ne sono perfettamente coscienti.
Foxconn sembra voler agire. La grande impresa taiwanese impiantata nella Cina continentale ha trascorso due anni sociali agitati e cerca di venirne fuori organizzando essa stessa le elezioni dei delegati del personale, ha scritto il Financial Times del 3 febbraio 2013 citando la direzione dell’impresa. È troppo presto per dire se si stia andando verso la creazione di un sindacato libero o almeno verso uno scrutinio a voto segreto non manipolato.
In effetti, il gruppo che fabbrica telefoni sofisticati e tablet dell’ultimo grido tecnologico per la celeberrima Apple è diventato simbolo delle multinazionali che sfruttano vergognosamente i lavoratori, nella fabbrica come nei dormitori dove sono ammucchiati i migranti (2). Già  nel 2010, il suicidio di un operaio aveva portato a uno sciopero massiccio dei salariati nelle fabbriche di Shenzhen (Guangdong). L’azione aveva fatto il giro del mondo. Nel gennaio 2012, al momento del lancio del nuovo iPad, la stampa statunitense e in particolare il New York Times avevano denunciato gli orari e i ritmi infernali imposti ai lavoratori. Per la commozione degli statunitensi…compratori di tablet. Così Foxconn si era impegnata a rispettare un codice di condotta, più o meno certificato dall’associazione statunitense Fair Labour. Ahinoi, nove mesi più tardi è stata la stessa stampa cinese a denunciare lo sfruttamento di adolescenti come stagisti non pagati nei laboratori del Guangdong.
Annunciando eventuali elezioni, Foxconn cerca in primo luogo di rifarsi un’immagine agli occhi dei consumatori occidentali. Non a caso è il quotidiano britannico Financial Times a dare l’annuncio. Tuttavia, prudentemente, il gruppo taiwanese si è impegnato solo a «formare i lavoratori cinesi alla pratica delle elezioni dei loro rappresentanti» (Ft, 3 febbraio 2013).
In Cina, va detto, esiste un solo sindacato, la Federazione dei sindacati di tutto la Cina (All-China Federation of Trade Unions – Acftu) emanazione del Partito comunista. Questa sceglie i rappresentanti dei lavoratori d’accordo con il padronato (pubblico o privato). Alla Foxconn il dirigente sindacale Chen Peng altri non è che l’ex direttore di gabinetto del grande proprietario del gruppo taiwanese Terry Gou…non è necessario dire che non ha brillato per spirito di rivendicazione.
Questo caso è caricaturale non è l’unico. Bene o male il sistema ha funzionato, finché i migranti arrivavano dalle campagne con la speranza di farvi ritorno. Non è più così. La nuova generazione è più formata e non accetta di vedersi calpestare. Non potendosi affidare al sindacato ufficiale, sempre più lavoratori si rivolgono ad associazioni indipendenti di salariati e a reti di avvocati nate durante i grandi scioperi del 2010 soprattutto nel Guangdong, polmone dell’industria e delle esportazioni cinesi.
L’esperienza dei migranti
Su richiesta dei lavoratori in lotta, il padronato fa ricorso a queste associazioni per negoziare in caso di scioperi, ed esse sono più o meno tollerate dal partito. È il caso del gabinetto Laowei Law Firm (Llf) diretto da un avvocato di Schenzhen, un’ora e mezza di treno da Canton. Malgrado mille vicissitudini, e dopo aver rinunciato a un reddito molto elevato, Duan Yui resiste. Con undici colleghi, forma i migranti, li aiuta a diventare consapevoli dei loro diritti, li difende individualmente quando necessario e fa da intermediario quando si tratta di negoziare durante gli scioperi, tuttora non riconosciuti come diritto costituzionale. Nella vicina periferia di Canton, questo ruolo è svolto da un’associazione di lavoratori, la Guangdong Panyu Migrant Workers (Gpmw). Anch’essa ha dovuto fare le valigie diverse volte per le minacce subite, ma lavora con giovanissimi avvocati e fa presa. Nella provincia, ci sarebbero diverse decine di organizzazioni di questo tipo.
Le due associazioni incontrate alla vigilia del congresso del Pcc sottolineano soprattutto il cambiamento di mentalità  presso gli operai. «Fino a ieri erano soli di fronte al datore di lavoro. Oggi in molti scoprono il peso dell’azione collettiva e l’efficacia del negoziato con propri rappresentanti» sostiene Duan; «è un fatto storico». È forse la nascita di una coscienza di classe presso i lavoratori migranti? In ogni caso si può certo parlare della nascita di sindacati autonomi che non si dichiarano tali, che non sono legati fra loro (dunque sono meno pericolosi) e che il potere sembra tollerare o anche utilizzare quando il negoziato è l’unica via praticabile.
Pur innovatrici, queste esperienze riguardano solo alcune centinaia di migliaia di lavoratori, su circa 250 milioni di migranti. Né esse mettono in discussione il sistema del sindacato unico, pilotato da un partito onnipotente. Come dice Duan, «la contrapposizione fra capitale e lavoro diventa sempre più rude». Ma se la lotta di classe esiste, non c’è più un partito di classe…Quanto al «Partito comunista, se non cambia, gli operai lo obbligheranno a cambiare…o lo ripudieranno».
Nell’impresa giapponese Ohms Electronics, nel marzo 2012 il candidato del sindacato ufficiale è stato sconfitto da un lavoratore di 35 anni. Egli ha potuto presentarsi alle elezioni dopo uno sciopero dei salariati, e i suoi settecento colleghi l’hanno eletto con la maggioranza assoluta. Prima del congresso del Pcc, il dirigente comunista del Guangdong, Wang Yang, prometteva di organizzare simili elezioni in 300 grandi imprese della provincia, cosciente del fatto che è meglio avere interlocutori veri con i quali negoziare invece che essere costretti a spegnere incendi. Nessuno vuole che si arrivi a una nuova fare di repressione, tipo la Tienanmen del 1989. Dunque, c’è chi prende l’iniziativa.
Dunque Foxconn non sarebbe la prima impresa a organizzare elezioni sindacali libere. Ma è certamente la più grande: occupa 1,2 milioni di lavoratori. Occorrerebbe che associazioni come Llf o Gpmw godessero di un vero diritto d’intervento. Sarebbe una rivoluzione.

(1.Stéphanie Kleine-Ahlbrandt, «Scontro tra nazionalismi nel mar della Cina», Le Monde Diplomatique, novembre 2012
2 .V. Jordan Pouille, «Cina, la vita secondo Apple», Le Monde Diplomatique, giugno 2012).

* giornalista di «le Monde Diplomatique»
Traduzione di Marinella Correggia

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Il conflitto sociale
Nel 2011 sono stati ufficialmente censiti oltre 180.000 «incidenti di massa»; due volte e mezza quelli del 2008…Il bilancio per la sicurezza è salito al livello delle spese militari, come se il «nemico interno» fosse ritenuto altrettanto minaccioso di quello estero

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DOPO IL XVIII° CONGRESSO DEL PCC

I «magnifici» sette della leadership cinese
In Cina il Partito comunista mantiene il controllo su tutti gli ambiti, anche se l’apparato statale si è sviluppato, con il Consiglio degli affari di Stato (il governo) responsabile davanti all’Assemblea nazionale. Da qui l’importanza del Comitato permanente dell’ufficio politico, che nel congresso del novembre 2012 è passato da nove a sette membri. È in questo sancta sanctorum che sono prese le decisioni, in genere per consenso. Ecco i nuovi dirigenti.
Xi Jinping, 59 anni, presidente della Repubblica, fa parte dei «figli del principe». Suo padre fu uno dei compagni di Mao Tze-Tung prima di essere spedito nelle aree rurali nel corso di una campagna di rettificazione; fu riabilitato dopo la morte del Grande timoniere. Sua madre invece morì in prigione. Ha governato due province povere (Shaanxi e Hubei) e due regioni costiere fra le più ricche (Fujian e Zheijiang). Vicepresidente dal 2008.
Li Keqiang, 57 anni, primo ministro, ha fatto la sua carriera nella Lega della gioventù comunista. Secondo la sua biografia ufficiosa avrebbe partecipato al movimento del «muro della democrazia» nel 1978. È laureato in economia all’università  di Pechino. Anch’egli ha governato province povere e ricche.
Wang Qishan, 64 anni, fa parte del clan dei «figli del principe» per matrimonio, essendo il genero di un ex viceministro. Ha diretto la potente Banca delle costruzioni (China Construction Bank) ed è stato sindaco di Pechino prima di essere nominato viceministro incaricato degli affari economici.
Liu Yunshan, ex giornalista, 65 anni, ha preso il posto del capo destituito di Chongqing, Bo Xilai, accusato di corruzione. La stampa occidentale ha fatto molta ironia sui suoi studi di economia, parzialmente compiuti in Corea del Nord. Nondimeno egli è stato capo del partito nella provincia del Quangdong, la preferita dalle multinazionali esportatrici straniere, il che non esclude l’autoritarismo politico.
Yu Zhengsheng, il più anziano del gruppo con i suoi 67 anni, fa parte dei «figli del principe». È attualmente segretario del partito a Shanghai, la capitale economica della Cina.
Zhang Gaoli, 65 anni, è stato governatore della provincia dello Shandong prima di essere nominato alla testa della municipalità  autonoma di Tianjin (13 milioni di abitanti) per fare ordine visto che la corruzione era arrivato alle stelle.


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