«Basta intervento militare»

by Sergio Segio | 17 Febbraio 2013 8:27

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Nonostante il presidente afghano non abbia perso occasione in questi anni per attaccare gli alleati proprio sul tema “vittime civili”, quel giorno si era soprattutto congratulato della notizia del ritiro di altri 34mila soldati Usa entro l’anno. Ma, dopo aver fatto passare qualche tempo, il capo dello Stato afghano ha fatto la dichiarazione più dura di tutta la sua storia politica. Ieri, mentre era in visita all’Accademia militare nazionale a Kabul, ha annunciato che «nessuna istituzione militare afgana e per nessun motivo potrà  più chiamare in aiuto forze dell’aria straniere a sostegno di operazioni nel Paese». Un vero e proprio veto cui il presidente vuole dare ancora più forza, questa volta, con un decreto che intende emanare nei prossimi giorni. Per la prima volta in maniera chiara e netta Karzai fa una precisa distinzione tra forze nazionali e “alleati” che, in questa nuova chiave, diventano dunque assai più forze di occupazione che amici, responsabili d’ora in poi di ogni azione dall’aria che uccida afghani innocenti. La situazione è difficile e il consenso per il presidente un’arma fondamentale da giocare nell’ultimo spicchio di un mandato in esaurimento. E di morti civili ce ne sono fin troppe, a cominciare da quanto accadeva ieri, nelle stesse ore, appena oltre confine, nella città  pachistana di Quetta, piena di rifugiati afghani, soprattutto hazara. Lì, sempre ieri, oltre quaranta persone sono state uccise (duecento i feriti) da un “ordigno sporco” piazzato nel mercato della verdura. È uno dei tanti aspetti di una guerra trentennale che non si combatte solo in territorio afghano e da cui è bene prendere le distanze davanti a un popolo composto ormai in maggioranza da gente che la pace non l’ha vista mai. La guerra sul suolo nazionale continua. E il raid a Kunar di qualche giorno fa è solo l’ultimo episodio di uno degli aspetti più odiosi del conflitto: la morte dall’aria. La strage di Kunar, avvenuta nella notte del 12 febbraio scorso, non è nemmeno stata una delle più sanguinose ma arriva in un momento delicatissimo e in cui i rapporti con l’alleato maggiore, quello americano, non sono serenissimi. C’è in ballo la questione delle basi militari per le quali Washington chiede un salvacondotto che garantisca ai militari che resteranno a presidiarle in Afghanistan dopo il 2014 l’immunità . Karzai non vuole e non vuole cedere, mentre le vicende che coinvolgono i civili non fanno che aumentare la mal sopportazione della presenza straniera e il consenso al presidente, specie quando prende una dura posizione contro gli alleati. Infine, se è pur vero che molti afghani temono che il ritiro significhi oblìo, non sembrano davvero più disposti a tollerare i bombardamenti, per forza di cose indiscriminati. Della strage di Kunar si era detto che fosse stata l’effetto (collaterale, parola che però non si usa più) di una “operazione congiunta”, ma quel congiunto significa di solito che gli afghani macinano la strada e gli alleati l’aria. Sulla vicenda Karzai aveva convocato a palazzo il neo nominato capo dell’Isaf/Nato, il generale americano Joseph Dunford, che ha così iniziato con una grana la sua carriera di capo (forse l’ultimo) della Nato nel Paese asiatico. Dunford si è giustificato, con promesse per le famiglie e ripetendo il mantra ormai di rigore, e cioè che per la Nato la protezione dei civili è la pietra angolare della missione nel Paese. Ma questa volta le parole non sono state sufficienti. A giudicare dalla reazione (ponderata) del presidente afghano, c’è da credere che farà  sul serio e che emanerà  il decreto: una presa di posizione senza precedenti che costituirebbe per la Nato un duro avvertimento che potrebbe forse sortire il salutare effetto di chiudere definitivamente la partita dei bombardamenti aerei. Cui anche noi italiani partecipiamo, come ha fatto sapere il ministro Di Paola in parlamento l’estate scorsa.

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