L’Europa tratta i rifugiati come rifiuti di cui disfarsi

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MILANO. Kazim è scappato dall’Afghanistan. E’ arrivato in Germania e ha proseguito il suo viaggio verso la Svezia. La sua richiesta di asilo però è stata esaminata e rigettata dalle autorità  tedesche perché lui era assente al colloquio. Infatti la Svezia l’ha rispedito in Germania con due settimane di ritardo. Un padre ceceno ha un bambino appena nato in Austria. Suo figlio viene riconosciuto richiedente asilo in quel paese, lui invece viene rispedito in Polonia. Ha chiesto il ricongiungimento familiare ma gli austriaci lo hanno respinto.
Sono storie di ordinaria follia dovute all’applicazione del regolamento di Dublino, il sistema di norme che da dieci anni stabilisce quale stato europeo debba farsi carico dei profughi che arrivano nell’Ue. Nessun paese europeo vuole accollarsi questi disperati che scappano dalle guerre e dalla fame e così è stato necessario inventare un cavilloso sistema in base al quale rimpallarsi esseri umani. Non stupisce che il risultato sia una specie di gigante burocratico usato come un’arma contro i diritti umani e che tratta donne e uomini peggio delle merci che non vuole nessuno.
Nel decimo anniversario del regolamento, il Centro italiano rifugiati (Cir) – in collaborazione con Forum Re’fugie’s-Cosi, Ecre, Hungarian-Helsinki Committee – ha pubblicato «The Dublin II regulation: lives and hold», uno studio comparativo sugli effetti perversi di questo sistema di leggi che mette a confronto undici stati. La norma chiave del regolamento di Dublino, l’unica applicata uniformente in tutta Europa, parla chiaro: salvo alcune rare eccezioni, il primo paese europeo in cui il richiedente ha messo piede deve farsene carico.
L’Italia è uno dei paesi cruciali di questa barriera, è infatti uno dei paesi di ingresso per eccellenza in Europa e molto spesso gli altri stati membri rimandano i richiedenti asilo proprio nella penisola. Una volta ritornate in Italia queste persone, però, non trovano l’accoglienza che gli sarebbe dovuta. Solo pochi giorni fa un ragazzo di 19 anni della Costa d’Avorio, rispedito a Roma dalla Germania, si è visto rifiutare la sua domanda di asilo e si è dato fuoco all’aeroporto di Fiumicino. Qualche settimana fa Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto in cui denunciava come l’Italia rimanda in Grecia richiedenti asilo che sono scappati da quel paese xenofobo nascosti nelle stive delle navi.
Chi non viene cacciato è troppo spesso costretto a vivere in condizioni precarie o disumane. Nel 2011 l’Italia ha accolto 37.500 richieste di asilo ma solo per tremila persone sono disponibili alloggi. A queste vanno aggiunte altri 4.645 richiedenti trasferiti dagli altri paesi europei (le richieste erano 13.715), mentre l’Italia è riuscita a trasferire nel resto d’Europa solo 14 richiedenti che avevano ottenuto l’asilo.
Alla base dei trasferimenti prevale la voglia dei diversi paesi di scaricare queste persone e non certo le loro esigenze umanitarie e familiari. In media in Europa, nel 2010 e nel 2011, solo il 27,7% dei trasferimenti è stato eseguito per motivi affettivi e solo il 34% delle domande di trasferimento presentate per questo motivo sono state accolte. Quasi tutto il lavoro umanitario viene lasciato in carico alle Ong mentre gli stati se ne lavano le mani. Inoltre, nove paesi su undici ricorrono alla detenzione. Non vengono garantiti neppure diritti minimi come la presenza di traduttori durante i colloqui.
Solo alla fine del 2012 finalmente i paesi europei hanno trovato un accordo per rivedere il regolamento di Dublino II. Ma il prossimo Dublino III sarà  basato sugli stessi criteri. Per il Cir, invece, «i princìpi alla base del regolamento debbono essere rivisti in maniera strutturale».


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