L’inchiesta Mps si allarga, la pista Verdini

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SIENA — L’indagine della magistratura di Siena adesso coinvolge anche la politica. E punta ad accertare i rapporti tra banchieri e rappresentanti dei partiti che a livello locale e nazionale possano aver influito sulle scelte dei vertici del Monte dei Paschi. Le verifiche sull’acquisizione del 2007 di Antonveneta dagli spagnoli del Santander si snodano sul doppio binario: da una parte le manovre finanziarie per rastrellare i soldi necessari a chiudere l’affare, dall’altra i contatti con chi poteva aver interesse — anche personale — al buon esito. L’attenzione si concentra sui comportamenti dei consiglieri di amministrazione, in particolare sul ruolo di Andrea Pisaneschi che rappresentava il Pdl e fu poi nominato presidente dell’Istituto di credito appena acquistato. Ma anche su quanto accaduto all’interno del Pd, con i dissensi che portarono alle dimissioni l’ex sindaco Franco Ceccuzzi.
Soldi e potere, questo è l’intreccio che si cerca di dipanare per capire chi diede il via libera a quell’operazione che si rivelò disastrosa per le casse di Mps con il versamento di nove miliardi e trecento milioni di euro, oltre a dieci milioni di euro di oneri. E che avrebbe invece portato evidenti vantaggi economici ad alcuni manager di vertice. La giornata è scandita da interrogatori, nuove acquisizioni di documenti, esame delle carte sequestrate negli ultimi giorni. Ma la novità  è la missione a Firenze del pubblico ministero Natalino Nastasi per incontrare i colleghi che indagano sul Credito Cooperativo di Denis Verdini e sugli incarichi di consulenza ottenuti proprio da Pisaneschi, per questo indagato per l’emissione di fatture false. Agli atti di quell’inchiesta ci sono le intercettazioni delle telefonate del 2010 di Verdini che chiede all’allora presidente Giuseppe Mussari finanziamenti per il suo socio, l’imprenditore Riccardo Fusi. Un pool di istituti di credito gli ha concesso un prestito da 150 milioni di euro, Mps ne ha messi 60, ma Verdini insiste perché la banca senese ne aggiunga altri dieci. Sollecita più volte Mussari che alla fine nega però l’ulteriore stanziamento. Nastasi acquisisce la documentazione, poi interroga insieme ai magistrati fiorentini il senatore Paolo Amato, eletto con il Pdl e poi andato via proprio in polemica con il coordinatore. Obiettivo: conoscere i rapporti tra il partito e Mps. Subito dopo viene ascoltato come testimone il presidente del Consiglio regionale della Toscana Alberto Monaci, esponente senese del Pd, ex Margherita, accusato da Ceccuzzi di aver guidato la fronda contro di lui. Suo fratello Alfredo è stato nel cda della banca. Al termine dichiara: «L’ex direttore generale Antonio Vigni è un ottimo analista e quindi lui era in condizione di vedere le cose. Evidentemente non avrà¡ avuto sufficiente tenuta di carattere per dire no a Mussari. Per quanto riguarda il vertice, l’accordo politico prevedeva che Leonello Mancini facesse il presidente della banca e Mussari della fondazione, ma su questo io non diedi il gradimento».
A Siena i pubblici ministeri Giuseppe Grosso e Aldo Natalini intanto sentono per oltre due ore la versione di Raffaele Ricci che, prima per Dresdner e poi per Nomura, gestì il «derivato» Alexandria. Secondo l’accusa quell’investimento – inizialmente nascosto al mercato e agli organi di vigilanza – fu pianificato per cercare di ripianare i conti e ritiene indispensabile ricostruire la sua storia. Anche perché gli specialisti che se ne sono occupati farebbero parte di quella «banda del 5%» che per i magistrati aveva al vertice Gianluca Baldassarri, capo dell’Area Finanza, adesso indagato per associazione a delinquere truffa, appropriazione indebita, turbativa del mercato, insieme al suo vice Alessandro Toccafondi e ad altri funzionari della struttura. Ma anche ai broker della società  Enigma che avrebbero gestito alcune operazioni finanziarie per loro conto e ieri – dopo il blocco dei 40 milioni di euro – hanno subito un nuovo sequestro di tre milioni di euro per evasione fiscale da parte della Procura di Milano.
Gli inquirenti stanno verificando se le percentuali illecite siano state percepite sin dal 2003, quando direttore generale di Mps era ancora Vincenzo De Bustis. Non a caso tra i documenti acquisiti nelle ultime ore dagli specialisti del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo ci sono i documenti relativi alle operazioni gestite negli ultimi dieci anni e sulle quali potrebbero aver gravato «plusvalenze» proprio come accaduto per Antonveneta.
Fiorenza Sarzanini


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