«Non usate Dio per avere il potere»

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CITTà€ DEL VATICANO — All’Angelus ha invocato Maria «nell’ora della prova». Ha scandito un’espressione fortissima, specie di questi tempi: «Nei momenti decisivi della vita e in ogni momento siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio?». È tornato a dire che chi fa parte della Chiesa deve «rinnovarsi nello spirito», rinnegare «orgoglio e egoismo», respingere le tentazioni diaboliche subite da Gesù nel deserto che hanno il loro «nucleo» nello «strumentalizzare Dio per i propri fini» preferendogli «il successo, i beni materiali, il potere», bisogna insomma scegliere tra l’«interesse individuale» e «il vero Bene».
E quando la sera Benedetto XVI ascolta con l’intera Curia romana gli esercizi spirituali, che ha voluto affidare al cardinale Gianfranco Ravasi, è il grande biblista a completare il quadro evocando, come «icona» della «sua futura presenza tra noi» dopo la rinuncia al pontificato, un passo dal capitolo 17 dell’Esodo, «la grande battaglia che nella valle si sta compiendo tra Israele e Amalek». Mentre la battaglia infuria, racconta Ravasi nel perfetto silenzio della cappella Redemptoris Mater, «Mosè sale sul monte e sul monte si mette in preghiera: “Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole“».
Il cardinale biblista, uno dei «papabili», tratteggia insomma «la funzione di intercessione» che Benedetto XVI avrà  nella Chiesa dopo il 28 febbraio, e aggiunge: «Noi rimarremo nella valle, quella valle dove c’è Amalek, la polvere, le paure, i terrori, gli incubi ma anche le speranze, dove lei è rimasto in questi otto anni con noi. D’ora in avanti però noi sapremo che sul monte c’è la sua intercessione per noi».
L’immagine della battaglia biblica, dopo quella del «bivio», è indicativa dei travagli della Chiesa di oggi nel mondo. Eppure ciò che colpisce, di là  dalla fatica dell’età , è la serenità  e la lucidità  di un Papa che sembra aver meditato da tempo e preparato ogni passaggio del suo lungo addio. Del resto «non è che “sembri”, le cose stanno proprio così», precisano ai piani alti del Vaticano. I tempi della «rinuncia» scelti in modo che il successore possa celebrare la Pasqua. L’annuncio prima della settimana di «silenzio» degli esercizi spirituali che servirà  a «liberare l’anima dal terriccio delle cose, dal fango del peccato, dalla sabbia delle banalità , dalle ortiche delle chiacchiere che soprattutto in questi giorni occupano le nostre orecchie», ha aggiunto Ravasi.
Oltretevere c’è chi invita a considerare l’ultimo concistoro convocato dal Papa il 24 novembre: il primo nella storia — salvo uno «mini» del 1924, quando Pio XI creò due cardinali americani — nel quale non ci fosse, tra i sei neoporporati, neanche un europeo. Il che, si spiega, non va letto tanto nel senso di considerare «papabili» non europei, ma come il segnale al futuro Pontefice e alla Chiesa a guardare sempre più «oltre l’Europa». Un segnale cui si sono aggiunti quelli seguiti all’annuncio: il successore dovrà  avere «nel corpo e nell’animo» il «vigore» necessario ad affrontare «rapidi mutamenti» del «mondo di oggi», la Chiesa deve restare unita.
Chiaro che le parole del Papa all’Angelus, in Quaresima, valgano per tutti i cristiani. Ma resta ciò che fa notare il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, alla Radio Vaticana: «Il Papa ci insegna che non si occupano i posti, si serve la Chiesa». Si avvicina un Conclave quasi certamente anticipato alla prima metà  di marzo: decideranno i cardinali in «sede vacante», a meno che non intervenga lo stesso Benedetto XVI. Perché il Papa è tale fino al 28 e sono ancora possibili «sorprese», si avverte. Benedetto XVI prosegue, senza concessioni alla commozione, asciutto come nel suo stile. Davanti alla folla — da 50 a 100 mila fedeli — non ha mai nominato la parola «rinuncia». Solo un ringraziamento in italiano per la «vicinanza spirituale in questi giorni». E le parole nei saluti in spagnolo dopo la preghiera mariana: «Vi supplico di continuare a pregare per me e per il prossimo Papa».


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