Monti col posto fesso per tutti

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MILANO. Scusate, posso dettare? Si figuri, professore. Alla fine della noiosa presentazione del nuovo «mondo del lavoro» come se lo immagina lui – e il professor Pietro Ichino che ne ha tracciato le linee guida – Mario Monti si alza in piedi e comincia a declamare una precisazione scritta su un foglietto, perché urge fare chiarezza su un punto. E si vede che dei giornalisti non si fida: «… chiuse le virgolette, virgola… non è stata formulata alcuna proposta di aumento dell’età  pensionabile, punto». E ci mancherebbe altro. La voce era circolata perché i giornalisti avevano confuso il capitoletto delle cose già  fatte con quelle da fare.
Comunque sia, guardando al dopo 24 febbraio, c’è ugualmente poco da stare allegri, per i lavoratori e per chi sembra destinato a governare con la «scelta civica» di «Monti per l’Italia» – anche se la propaganda elettorale prevede reciproche punzecchiature che non lasceranno il segno. Il professore ieri è stato avaro di parole. Ha fatto una promessa, taglierà  le tasse. «Prima ci hanno permesso di salvare l’Italia ma adesso non ho intenzione di farmi mummificare con quella connotazione: se la situazione cambia anche le politiche economiche possono cambiare». Poi ha ribadito il motivo per cui ha deciso di «salire» in politica, e non è stato carino verso l’ex e probabile futuro alleato Pierluigi Bersani: «Abbiamo constatato la non disponibilità  della sinistra e di un sindacato a fare altri passi avanti sulla riforma del mercato del lavoro, è nata così l’idea di catturare la collaborazione di alcune personalità  di Pd e Pdl per creare un movimento in favore di quelle riforme». E, infine, si è autoproclamato ancora una volta unto dal dio mercato, citando un recente rapporto del Fmi: «Le riforme, se continuate, porteranno a una crescita del Pil del 5,75% nei prossimi cinque anni: come facciamo a correre il rischio di non andare avanti con queste riforme dopo che gli italiani hanno fatto questi sacrifici?».
A spiegare le riforme, o meglio a confondere le acque con attitudine da giuslavorista azzeccagarbugli, ci ha pensato Pietro Ichino, l’uomo che per anni è stato in forze nel partito di Bersani. Sostanzialmente ha letto i titoli di un programma piuttosto confuso – tanto che Monti ha dovuto dettare la sua rettifica – che si regge su un pilastro: l’aggressione ai diritti dei lavoratori e la possibilità  di licenziare con ancora più agio. Naturalmente le parole sono importanti e cosi Ichino e i suoi illustri aiutanti (Bombassei e Giuliano Cazzola, ex Pdl) hanno più volte parlato di «rimodulazione sperimentale» del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questo è il capitolo fondamentale. Questa «rimodulazione» servirà  a rendere il contratto «più flessibile e meno costoso». In che senso? Avvalendosi della «norma-chiave» – ecco l’altra parola magica – meglio conosciuta come articolo 8 del decreto legge approvato nel 2011, quello che di fatto demolisce il contratto nazionale di lavoro attraverso la possibilità  di avviare trattative territoriali o anche aziendali. E poi, suvvia, con l’eliminazione di qualche rigidità . Tipo? «A 15 giorni dall’assuzione – spiega Ichino – il costo della risoluzione del rapporto del lavoro può costare 12 mensilità …». Insomma, la lista Monti è per facilitare il licenziamento? A domanda, Ichino tergiversa, forse non trova il comma giusto: «Nel nord Europa se perdi il lavoro ne trovi subito un altro…». Ah, beh.
Il resto è propaganda, e ci sta pure a poche settimane dalle elezioni. Il capitolo «donne per esempio». Ancora Monti: «L’Italia è un paese per donne ma è prioritario che lo diventi». Fin qui tutti d’accordo. E poi i giovani. E chi non lo vorrebbe «un piano straordinario per l’occupazione giovanile»? Pietro Ichino, sempre per chi ha voglia di leggerlo tra le righe, in sostanza li assumerebbe tutti a tempo indeterminato ma dentro un contratto «meno rigido», per poi liberarsene quando non servono più. Quanto allo statuto del lavoro, è roba vecchia: «Una legge di 42 anni fa non può essere intoccabile, questa è un’idea conservatrice». La parola magica è «semplificare». Per andare oltre, naturalmente, «perché ce lo chiede l’Europa». Ovvio. Per andare dove lo intuisce subito Stefano Fassina, il responsabile del lavoro del Pd, l’uomo che prossimamente non ci dormirà  la notte: «La lista Monti invece di indicare una inversione di rotta sulla politica economica continua con la ricetta della svalutazione del lavoro tornando all’assalto dell’articolo 18 e dello Statuto dei lavoratori. La ricetta non funziona».


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