Saipem, battaglia sulle mail sequestrate

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L’altro ieri si era capito che il romanzesco sequestro il primo dicembre scorso alla stazione ferroviaria di Roma di un trolley in mano a una parente della moglie dell’ex direttore generale di Saipem, Pietro Varone, aveva permesso ai pm di cogliere, in alcune carte contenutevi, due importanti nessi. Il primo tra il manager e il 43enne Farid Noureddine Bedjaoui, algerino di nazionalità  francese, nipote di un ex ministro degli Esteri e alter ego del ministro dell’Energia (all’epoca dei fatti) Chekib Khelil, dominus di una ragnatela di conti in Svizzera e Francia dai quali sarebbero partiti bonifici anche per alti papaveri del governo e dell’ente petrolifero algerino, nonché apparentemente cointestatario di un conto con la moglie di Varone, e socio di Varone con un milione e mezzo di investimento nell’azienda agricola Ager Falernus del manager Saipem. Il secondo collegamento è tra l’algerino e la «Pearl Partners Itd», cioè la semisconosciuta società  di Hong Kong che, guarda caso, risulta destinataria, peraltro su conti negli Emirati Arabi e a Dubai, delle colossali commissioni teoricamente riconosciute da Saipem ad altra persona, «Samyr Ourayed, un agente ben conosciuto nel contesto commerciale dell’Algeria».
Ora, però, si afferma che quasi 10 milioni di euro sono «tornati» in Europa anche a un altro dirigente italiano: uno di cui negli atti d’indagine si conosce al momento non il nome ma lo status che ha deciso di assumere nei riguardi dei pm, e cioè quello di «persona coinvolta nelle indagini» che «ha recentemente reso dichiarazioni a questo ufficio»: è insomma proprio la scoperta dei suoi soldi all’estero che deve aver spinto questo indagato, ormai ex dirigente del gruppo, a diventare il superteste che «da dentro» sta spiegando ai pm alcuni meccanismi di questi affari. E forse anche alcune circostanze, come l’occasione al «George V Hotel» di Parigi in cui Scaroni incontrò il ministro Khelil alla presenza anche proprio di Bedjaoui e dell’ex responsabile Eni per il Nordafrica Antonio Vella, oggi pure indagato insieme a Varone autosospesosi il 5 dicembre, al direttore finanziario Eni (ex Saipem) Alessandro Bernini e all’amministratore delegato Saipem Pietro Franco Tali (entrambi dimessisi quella stessa sera), all’ex direttore generale per l’Algeria Tullio Orsi e a Nerio Capanna.
Per l’amministratore delegato Paolo Scaroni — indagato per l’ipotesi di corruzione internazionale, e nominato al vertice di Eni e prima ancora di Enel alcuni anni dopo aver patteggiato 1 anno e 4 mesi per le ammesse tangenti in Techint finalizzate ad appalti Enel — paradossalmente il problema più urgente non è imbastire la linea difensiva per la quale Eni si sta affidando ai professori Alberto Alessandri, Guido Rossi, Carlo Federico Grosso e Francesco Centonze. Sembra invece che altri due siano i maggiori timori.
Il primo è che Eni, quotata anche a New York, incappi in inchieste anche della Sec (l’authority di Wall Street) e del Dipartimento di Giustizia, ai quali Eni ha già  dovuto sborsare 125 e 240 milioni di dollari per chiudere la vicenda delle tangenti in Nigeria, anch’essa oggetto di una indagine del pm milanese De Pasquale avviata però a prescrizione in Italia.
Il secondo e ancor più urgente fronte per Eni è scongiurare il rischio che il sequestro di tutta la posta elettronica di Scaroni, dei 7 coindagati e di altre 22 persone, ordinato dai pm, possa (al momento del deposito degli atti) disvelare anche tutta una serie di informazioni riservate, confidenziali o proprio segrete attinenti le linee commerciali, le relazioni istituzionali-politiche e la diplomazia internazionale del gruppo. A questo scopo Eni ha proposto alla Procura, che sino a ieri non aveva espresso il proprio orientamento, che l’analisi dei server sequestrati da parte dei pm avvenga con la presenza dei legali Eni, e soltanto attraverso «filtri» di ricerca che selezionino tutto ciò che può riguardare l’Algeria (da consegnare all’indagine) e lascino invece fuori dal margine di conoscibilità  tutto ciò che non riguarda l’Algeria (e che, negli auspici di Eni, dovrebbe essere distrutto). Nell’elenco delle 22 persone non indagate di cui la Procura ha acquisito la posta elettronica contenuta nei server dell’Eni, infatti, al numero tre figura ad esempio Abdurahman Benyezza, che in realtà  più correttamente dovrebbe essere indicato come Abdul-Rahman Ben Yezza, cioè il nuovo ministro del Petrolio della Libia del dopo-Gheddafi; mentre il penultimo della lista è Salvatore Sardo, ex Enel come Scaroni e braccio destro operativo di Scaroni come «chief corporate operations officer» di Eni.


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