Stavolta la Cina si gioca la faccia

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Il sito internet, come prima la libreria omonima pechinese, è il ritrovo dei neomaoisti, assurti alle cronache cinesi per la difesa a spada tratta di Bo Xilai e per le recenti perfomance, con tanto di poster di Mao durante le proteste anti giapponesi (conseguenza del balletto diplomatico per un ammasso di scogli disabitati, chiamati Diaoyu dai cinesi e Senkaku dai giapponesi). Nel messaggio postato on line, i maoisti si sono congratulati con il «compagno Kim Jong un» per la riuscita «perfetta» del test nucleare in funzione anti occidentale e primariamente anti statunitense, confermando la stretta amicizia del popolo cinese con i “fratelli” coreani. L’episodio, di per sé insignificante nel brodo diplomatico internazionale, in realtà  nasconde tutte le insidie che la Cina si ritrova a dover affrontare dopo l’ennesima “pazzia” del suo alleato più fedele in Asia, ovvero Pyongyang.
C’è da immaginarsi l’imbarazzo ad esempio di quei membri dell’esercito e del partito che, pur cercando di tenere posizioni credibili e presentabili da un punto di vista internazionale, condividono in pieno quanto affermato dai maoisti, regrediti nella scala politica cinese a pusillanimi un po’ fuori di testa, specie dopo il repulisti seguito alla caduta di Bo Xilai, ex leader di Chongqing, espulso e in attesa di processo (probabilmente a marzo inoltrato anche se stando alle ultime indiscrezioni, si paventa la possibilità  di un processo a porte chiuse data la volontà  di «non collaborare» che avrebbe dimostrato l’imputato). Non sono pochi, specie nell’esercito, braccio militare del partito e non dello stato, va ricordato, a concepire ancora oggi la Corea del Nord come quel lembo di territorio in grado di effettuare la funzione di cuscinetto, rispetto a una Corea unita e sotto l’influenza americana. Anche se i “falchi” all’interno o nell’ambito del Pla – un gruppo composto da una ventina di papaveri tra i quali il colonnello Dai Xu, il general maggiore Luo Yuan, in pensione ma ancora molto influente e l’ammiraglio Zhang Zhaozhon – pur spingendo per una posizione dura nei confronti della comunità  internazionale che confermi l’alleanza con Pyongyang, non vogliono certo un conflitto.
«L’ultima guerra coreana finì in modo disastroso in termini di costi per Cina- racconta a il manifesto June Teufel Dreyers, una delle principali esperte mondiali di forze armate cinesi e professoressa alla Miami University – sia sotto il profilo delle perdite umane, pesanti, quelle economiche, i debiti accumulati con l’ex Urss e per aver creato la situazione di impossibilità  di riprendersi di fatto Taiwan. Quello che interessa a esercito e comitato Centrale del Pcc è affermare, di sicuro, la propria influenza nelle zone orientali. Del resto, se i generali e politici cinesi hanno studiato la storia, sanno bene che la coda coreana ha già  agitato il cane cinese e giapponese, più di una volta».
Certo che questa volta la Corea del Nord ha rischiato grosso. Ha messo in discussione, in modo pubblico, la parola della Cina, portando Pechino a rischiare quanto di più prezioso hanno i cinesi, ovvero l’onore della parola data, la “faccia”, mianzi in cinese. Quando la Corea del Nord aveva avvisato che avrebbe provveduto ad effettuare un nuovo test nucleare, la Cina consigliò prudenza a Pyongyang, come può fare un fratello maggiore con un piccolo ed esuberante fratellino. Ma Kim Jong un ha proseguito per la propria strada, mettendo la Cina in una posizione delicata. Le mire nucleari nord coreane, intanto, hanno intensificato i bisogni difensivi di Corea del Sud e Giappone. Inoltre il test ha prestato il fianco a critiche internazionali alla Cina, accusata esplicitamente dalla stampa americana, di «aver fallito». Nell’edizione cinese di alcuni giornali, come il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista, queste critiche hanno finito per ricacciare indietro le posizioni cinesi: «La colpa, al massimo – ha scritto il quotidiano – deve ricadere sugli Stati Uniti e le sue continue minacce e richieste di sanzioni contro la Corea del Nord».
Stallo dunque, in attesa che Xi Jinping, il nuovo leader del paese (a marzo sarà  ufficialmente anche presidente della Repubblica Popolare) indirizzi la politica estera cinese in modo determinato. Sono in molti ad attendere questa scelta: gli Usa fiduciosi delle promesse lanciate da Xi rispetto a una nuova stagione dei rapporti tra le due potenze, e tutta l’Asia all’interno della quale, per questioni economiche, territoriali e militari, cresce sempre di più il fronte anti cinese.


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