Tagli, la rivolta degli studenti

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MADRID. L’obiettivo è che «tutti i centri educativi si mettano sul piede di guerra contro chi vuole affossare l’educazione pubblica». Per questo il sindacato degli studenti – agguerritissimo da quando è stato presentato il progetto di legge che decima gli stanziamenti per la scuola statale – ha convocato tre giorni di mobilitazione cominciata ieri e che giovedì dovrebbe culminare con la diserzione delle aule e, forse, un corteo. Sarebbe già  il secondo sciopero studentesco in pochi mesi: il precedente (dello scorso ottobre) era riuscito nel singolare intento di unire genitori e studenti in un’unica e corale voce di protesta. Una voce che finora, però, è rimasta inascoltata, dato che il ministro dell’Istruzione José Ignacio Wert – uno degli uomini più contestati dell’esecutivo – non sembra incline a ripensamenti.
Nelle aule dei licei e delle università  c’è fermento e rabbia: le tasse universitarie sono aumentate a dismisura e le borse di studio sono state falciate. Il materiale scolastico ha subito un aumento dell’Iva di 17 punti (dal 4 al 21%) e gli aiuti per l’acquisto dei libri sono diventati un ricordo del passato, così come la mensa gratuita. Per molte famiglie l’istruzione dei figli sta diventando un onere sempre più proibitivo, tanto che l’ombra della discriminazione in base al censo inizia ad incombere sull’accesso universale agli studi universitari. Nella Spagna di oggi, c’è chi può permettersi di studiare e chi no. Un danno inestimabile per il paese. E anche una beffa, dato che Wert con una mano toglie al pubblico e con l’altra dà  al privato (meglio se cattolico). Intanto, chi può, va all’estero a convertire in un lavoro il titolo di studio o a fare ricerca, mettendo a nudo il problema di un sistema che non sa trattenere né valorizzare i suoi investimenti educativi .
A Madrid i principali atenei della capitale sono disseminati di cartelli. All’Autonoma, la seconda università  madrilena, uno striscione dice: «Quanto vuoi aspettare ancora per lottare per i tuoi diritti?».
E alla Complutense – il primo ateneo della capitale con 84.000 alunni, 26 facoltà  e 10.000 dipendenti – le cose non vanno meglio. Anzi, vanno persino peggio. L’università  ha un debito di 150 milioni e quest’anno riceverà  dallo stato 47 milioni in meno. A farne le spese, oltre agli studenti – che assistono ad un progressivo scadimento della qualità  dell’educazione, in un sistema scolastico che è già  flagellato da uno dei tassi di abbandono più alti d’Europa – sono i lavoratori. Dalle loro buste paga si preleveranno i fondi per coprire i buchi e compensare i tagli del governo. Questa è la principale ragione per cui alla protesta studentesca, ieri si è unita quella del personale della Complutense. E per oggi è convocato un altro sciopero.
Anche gli studenti sono tornati alla carica: «Vogliono negarci diritti che sono stati conquistati con la lotta. Non permetteremo che riportino indietro le lancette dell’orologio della storia». Siamo solo all’inizio: la Plataforma estatal en defensa de la escuela pàºblica (che riunisce i sindacati maggioritari, associazioni di genitori e di studenti), ha annunciato battaglia durante i prossimi giorni. Non c’è in gioco solo il futuro della scuola, bensì quello di un’intera generazione.


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