Turchia, attacco all’ambasciata Usa

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GERUSALEMME — L’autopsia potrà  rivelare se anche Ecevit Sanli era malato di cancro come gli altri attentatori suicidi. È la tattica usata dal gruppo che avrebbe organizzato l’azione contro l’ambasciata americana in Turchia, kamikaze che già  portano la morte dentro di sé, una granata in mano o la cintura esplosiva attorno al petto.
L’attacco è avvenuto poco dopo le 13 di ieri, a uno dei cancelli che portano verso l’ufficio visti. Il video girato dalle telecamere interne mostra l’assalitore che cammina verso il controllo ai raggi X, è nervoso, si agita. Il botto uccide una delle guardie turche (Mustafa Akarsu, 47 anni) e ferisce alla testa la giornalista Didem Tuncay, 39, che stava andando a incontrare l’ambasciatore Francis Ricciardone. Il boato fa scattare l’allarme su tutto viale Ataturk, dove si trovano anche le sedi diplomatiche italiana, tedesca, francese.
Recep Tayyip Erdogan, il primo ministro turco, accusa il Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (sigla DHKP-C), un movimento marxista, anti-imperialista e contro la Nato, vicino alla causa curda. Un mese fa la polizia ha arrestato 55 membri dell’organizzazione e ha sequestrato documenti con i piani per uccidere politici, magistrati, poliziotti. L’attentato ad Ankara — ragionano gli analisti — potrebbe essere la rappresaglia contro quell’operazione o la risposta al dispiegamento dei missili Patriot: chiesti alla Nato come protezione per eventuali incursioni dalla Siria, sono forniti da Stati Uniti, Olanda, Germania e nel Paese sono arrivati un migliaio di soldati stranieri per manovrare le batterie.
La Turchia in questi ventidue mesi ha assorbito i rifugiati e le tensioni della rivolta siriana. Dopo il bombardamento israeliano alla periferia di Damasco, l’allarme si è alzato per il rischio di attentati contro interessi occidentali. Nei giorni scorsi — ha rivelato il quotidiano Milliyet — è stato arrestato Suleiman T., genero di Osama Bin Laden. Arrivato a Istanbul dall’Iran con un passaporto falso, i turchi sono intenzionati a deportarlo verso Teheran, anche se alla Cia piacerebbe interrogarlo.
Uno degli attacchi perpetrati dal DHKP-C è stato ricordato da Barack Obama davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite alla fine di settembre. Il presidente americano stava commemorando le vittime dell’assalto al consolato Usa di Bengasi: «Non dimentichiamo che i musulmani hanno sofferto più di tutti per mano degli estremisti. Nelle stesse ore in cui i nostri cittadini sono stati ammazzati, un poliziotto veniva ucciso a Istanbul pochi giorni prima del suo matrimonio».
Davide Frattini


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