Alla fine del mondo, dove speranza è movimento

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Un paese con forte fermento sociale. Da qui arriva il messaggio di laicità  ed essenzialità , profetico per tutto il pianeta Papa Francesco ha detto che viene dalla «fine del mondo», da una terra lontana, ma qual è l’Argentina che ha lasciato il Cardinal Jorge Maria Bergoglio?
La notizia della sua elezione ha sicuramente colto di sorpresa tutti, argentini compresi; non solo perché i pronostici erano indirizzati su altri Cardinali di «maggior prestigio internazionale» ma anche perché la figura del Cardinale Bergoglio non era tra le più conosciute, nonostante fosse arrivato dietro Ratzinger nel 2005. Ma ciò rappresenta metaforicamente forse anche le sorti del suo Paese che è sempre stato ai limiti dell’isolamento dal resto del mondo. Sia per la lontananza geografica, sia per politiche che lo hanno reso alcune volte poco simpatico alle corti internazionali che “contano”.
Ma l’Argentina è senza dubbio un Paese di dualismi escludenti, da unitari-federalisti a Braden-Perà³n fino a Boca-River, solo per citarne alcuni della sua storia; e di cicli storici rapidi, passando in soli 30 anni da una sanguinaria dittatura che ha lasciato sul campo 30.000 “desaparecidos”, al menemismo che con il suo neoliberismo selvaggio l’ha messa in ginocchio economicamente e, oggi, al kirchenrismo; entrambi facce dello stesso movimento: il peronismo.
Ma l’Argentina lasciata oggi dal Cardinal Bergoglio è senza dubbio quella della presidenta Cristina Fernandez de Kirchner, eletta con circa il 54% al suo secondo mandato. Oggi trasformatasi in una sorta di “caudilla” , che nel bene e nel male attira l’attenzione di tutta la società  polarizzandola in «kircheniristas» e «anti kirchenristas». Andato al potere nel 2003 con la vittoria di Nestor Kirchner, il kirchnerismo eredita un’Argentina con profondi stravolgimenti economici e sociali lasciati dalla grande crisi finanziaria del 2001; da allora avvia un cambio radicale in risposta ai paradigmi dominanti del capitalismo finanziario selvaggio a cui il Paese era stato sottoposto per oltre 30 anni. Nel 2001 aveva registrato tassi di disoccupazione del 25% e di povertà  di circa il 54%, accentuando le differenze sociali; dal 2003 ad oggi è cresciuta a tassi dell’8% in media, ha ridotto la disoccupazione fino al 7% ed avviato ciò che potremmo chiamare politiche di «sovranità  economica e finanziaria nazionale» in risposta ad un neoliberismo sfrenato.
Oltre a ciò va menzionato anche l’impegno per la causa dei Diritti Umani: è il primo Paese dell’America Latina che ha avviato i processi ai Dittatori militari e a tutti i responsabili. Risultato raggiunto anche grazie all’instancabile e prezioso lavoro svolto dalle «Madres de Plaza de Mayo», «Abuelas» e «Hijos».
Ma in tutto questo, non mancano sicuramente anche i coni d’ombra. Il primo è l’attendibilità  dei dati ufficiali, la polemica aperta sull’Indec (Istituto di Statistica Nazionale) non è più una novità ; l’altro, è senza dubbio il fantasma dell’inflazione che vanifica molti degli sforzi fatti. In questi anni, non sono mancate neppure gli scambi di vedute animate tra il Cardinale Bergoglio e i Kirchner su leggi discusse come quelle sul matrimonio omosessuale e sull’uguaglianza di genere. Ma al di là  di tutto, è un’Argentina che con difficoltà , errori, pregi e virtù come tutti i paesi, anche attraverso un forte fermento sociale promosso dai movimenti sorti dopo la crisi finanziaria del 2001, ricerca permanentemente la sua identità ; per la prima volta forse non contro qualcuno ma guardandosi dentro e nell’ambito della regione a cui appartiene, l’America Latina, dopo essersi rialzata da una feroce crisi che l’ha investita in tutte le sfere. Per questi motivi la sua storia recente ha molte analogie con ciò che succede oggi nel resto del mondo, avendo vissuto 10 anni prima gli effetti di un’economia finanziaria speculativa.
E in questa direzione forse il papato di Francesco è chiamato a calarsi nel mondo per rappresentare proprio il suo nuovo inizio. Ha un significato non solo religioso. È un papato profetico per il mondo intero perché porta con sé il messaggio che se non cambiamo i nostri stili di vita, andremo tutti verso la “bancarotta”, ma questa volta non solo finanziaria, una bancarotta «sociale e ambientale». E forse, il nome scelto dovrebbe invitarci al coraggio di cambiare rimettendo al centro la «povertà » francescana anche nella vita laica, che potrebbe essere declinata in «essenzialità » dopo decadi attraversati dalla perdita del valore in sé dei beni in nome del dio mercato, ricercando insieme e in una vera integrazione culturale pluralista le condizioni di benessere per tutti e non solo per pochi.
* Ordinario di Economia Regionale all’Università  Cattolica de La Plata e all’Università  di San Martin di Buenos Aires


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