Bassi salari, orari alti È il commercio, baby

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Commenta per noi queste cifre il segretario della Filcams Cgil, Franco Martini, che rappresenta i lavoratori del commercio, del turismo e dei servizi. Da quest’anno, con 432 mila iscritti, la prima categoria di attivi della Cgil (seguono la Funzione pubblica e la Fiom). E mentre il manifatturiero e il pubblico contraevano gli iscritti, il terziario è invece «esploso» (sono oltre 6 milioni e mezzo gli addetti di questo settore in Italia).
Come mai i salari italiani restano così indietro rispetto a quelli europei?
Non siamo affatto sorpresi di questi dati. D’altronde, segnalo che il livello dei bassi salari va incrociato con il fatto che in Italia abbiamo tra gli orari più alti d’Europa. Quindi il difetto sta nella produttività  generale del sistema. Le imprese ai tavoli ci dicono che c’è troppo assenteismo e che si deve intervenire sulla malattia: ma in realtà  sono motivazioni strumentali, portate avanti per tagliare le tutele. Se vediamo i dati sull’assenteismo delle singole aziende sono sempre molto bassi. La mancanza di produttività  è da imputare soprattutto al basso livello delle infrastrutture, all’alto costo del credito, a una pubblica amministrazione farraginosa e perciò frenante e costosa. Risposte che deve dare la politica. Quando lavoravo con gli edili, mi capitò di conoscere un’impresa di yacht che costruiva in un capannone in campagna: il titolare mi disse che spendeva molto nel trasporto verso il mare, attraverso un viottolo. Quindi lì puoi tagliare sul lavoro quanto vuoi, ma sono altre le carenze di fondo.
E i contratti? Non è anche fallito il Patto del ’93, il modo in cui contrattate?
La contrattazione ha il compito di redistribuire la ricchezza prodotta tra profitto, investimenti, salario. Ma la ricchezza deve essere prodotta, e oggi facciamo contrattazione in piena recessione. I consumi sono crollati e le imprese hanno meno da redistribuire. Noi con le aziende, da un paio di anni a questa parte, siamo costretti a parlando quasi esclusivamente di quanti licenziamenti evitare. Però è vero che nell’attuale modello di contrattazione c’è un limite: si tende a spostare l’asse sul secondo livello, ma è uno schema che può funzionare solo se quest’ultimo è diffuso. E poi il Patto del ’93 è misurato soprattutto sul manifatturiero, ma come si applica negli studi professionali, nelle imprese di vigilanza, nel lavoro domestico? Abbiamo sacrificato soprattutto settori che non possono rinunciare al primato del contratto nazionale.
Nei numeri avete superato Fp e Fiom. Come mai questo «boom»?
Il nostro non è stato un «boom» inatteso, perché ha seguito molto semplicemente il diagramma costante del calo di addetti manifatturieri, sommato al blocco del turn over del pubblico impiego. Nel frattempo il terziario è esploso: è vero che abbiamo il maggior numero di tessere, ma sono anche le più povere. La nostra tessera media annuale vale sui 50 euro, dove va bene, mentre quella media della Cgil è sui 70-80. Abbiamo moltissimo precariato e part time, che incidono molto.
E poi avete molte disdette nella contrattazione integrativa, ultimamente.
Il secondo livello esiste sempre, in generale, in grandi catene come Carrefour, Auchan, Esselunga, la cooperazione. Le disdette nascono dal fatto che la crisi e il crollo dei consumi fanno precipitare i margini delle imprese, che non può essere recuperata con l’aumento dei prezzi, e pensano di rifarsi tagliano i costi del lavoro. E già  hanno ottenuto questo obiettivo con il contratto separato del 2011, che noi non a caso non abbiamo firmato. Vogliono disdire gli integrativi per siglare accordi peggiorativi: ha iniziato Carrefour, e da allora la pratica ha contagiato la gran parte delle catene e la stessa cooperazione. Ma è proprio di oggi la notizia (ieri per chi legge, ndr) che con Carrefour, dopo un lungo braccio di ferro, abbiamo siglato il rinnovo del secondo livello. Da Parigi volevano imporre un «integrativo» unilaterale, scritto in un libricino distribuito a tutti i dipendenti. In aziende come Autogrill e Fnac, abbiamo al primo posto, adesso, il problema dell’occupazione, perché stanno licenziando. E poi segnalo che non abbiamo ammortizzatori sociali, e chen l’Aspi introdotto dalla ministra Fornero è inadeguato. Per non parlare della norma che impone di pagare i fornitori entro 30 giorni, ma i committenti pubblici saldano i crediti dopo 1-2 anni.
Il quadro politico che si delinea può aiutare il mondo del lavoro?
Mi auguro si trovi soluzione per non bloccare il Parlamento per altri mesi: abbiamo un’urgenza numero uno, che si chiama ammortizzatori sociali. Gli ammortizzatori dovrebbero essere estesi a tutti. Si taglino spese e finanziamenti alla politica – ma io dico non tutti i finanziamenti, se no fanno politica solo i ricchi -ma si finanzino con quei soldi le spese sociali.
I grillini avranno avuto parecchi voti anche tra voi. La nuova «aria» vi spinge a un rinnovo delle burocrazie sindacali?
Grillo sfonda una porta aperta. All’ultimo contratto separato io avevo chiesto a Cisl e Uil la consultazione di tutti i lavoratori, ma mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ripeto: servono regole per la rappresentanza e la certificazione, per far partecipare i lavoratori. Le nostre stesse controparti datoriali sono divise: Federdistribuzione e Angem dichiarano di voler uscire da Confcommercio. Contagiano tutto il settore, come sta accadendo nel comparto delle scommesse sportive. Al contrario noi siamo per aggregare, non per frammentare.Per fortuna con Cisl e Uil ora si dialoga. Segnalo un’ultima pecurialità  del nostro settore: c’è molto lavoro femminile, e si conferma che il differenziale salariale con gli uomini arriva fino al 35%. Quindi siamo tra gli ultimi in Europa, ma con le donne precipitiamo ancor più giù. Non c’è il riconoscimento del lavoro domestico, neanche ai fini previdenziali; regna il part time e abbassa i salari. Peraltro spessissimo il part time è di fatto obbligatorio, mentre ci sono molte donne che lo devono scegliere per far fronte agli impegni familiari.


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