Cambia il clima sul clima che cambia

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Come in un circolo vizioso, dunque, politica e informazione non sono state capaci di generare consapevolezza, e si sono via via adeguate all’indifferenza. Ma forse oggi, anche nel Belpaese, qualcosa sembra destinato a cambiare. Perché se è vero che, anche in occasione delle recenti elezioni, i principali leader politici non hanno certo incardinato la loro campagna elettorale sul tema del clima, ci sono una serie di elementi che fanno ben sperare in un cambiamento di rotta.

Recentemente, un ampio cartello di associazioni ambientaliste, analizzando i contenuti proposti nei programmi elettorali e le sensibilità  di alcuni candidati di diversi schieramenti, ha registrato un incoraggiante “cambio di passo nell’attenzione ai temi ambientali”. In particolare, sembra che il tema del consumo di suolo, e più in generale della tutela del territorio (che può essere considerata a tutti gli effetti una declinazione delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, intese come strategie per migliorare la capacità  dei territori a sopportare crescenti situazioni di stress climatico, meteorologico e idrogeologico), sia riuscito a sfondare la cortina del silenzio, andando a ricoprire un ruolo sempre più centrale nella proposta di numerosi schieramenti politici. Insomma, per certi versi sembra sia stata quasi una questione lessicale: trovate le parole giuste, è stato molto più semplice fare breccia nei programmi e nelle sensibilità  civiche del Paese.

Sul tema dell’adattamento, comunque, l’Italia ha ancora molta strada da fare. La cornice generale è definita dal Libro Bianco dell’Unione Europea del 2009 (“L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”), in cui si identificando obiettivi, azioni, strumenti, possibilità  di finanziamento e responsabilità  degli stati membri. Con qualche anno di ritardo, anche il Ministero dell’ambiente italiano ha elaborato la sua Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che è stata presentata al Cipe il 21 dicembre scorso dal ministro Clini. Particolare attenzione (per l’appunto) è rivolta al Piano per la messa in sicurezza del territorio, un’operazione costosa (2,5 miliardi all’anno per 15 anni) ma non più rinviabile, anche in considerazione delle costo sociale ed economico sempre crescente delle emergenze (1 miliardo di interventi e 3 miliardi di danni solo nel triennio 2009-2012, secondo le stime di Legambiente).

Secondo Emanuele Bompan, ricercatore e giornalista ecologista esperto di clima, “grazie agli sforzi del ministro Clini e alla qualità  del lavoro effettuato dall’istituto di ricerca nazionale sulla scienza e le politiche del clima (CMCC), stiamo finalmente ritornando in carreggiata”. Senza dubbio la predisposizione di una strategia nazionale richiede un lavoro di ricerca molto approfondito, “per adattare la modellistica alla situazione italiana e per mappare le aree di rischio sul territorio”. E investire nella ricerca di qualità , in questo caso, è davvero imprescindibile, “perché mettere in campo una strategia di intervento decennale con una base scientifica debole significherebbe gettare al vento miliardi di euro”.

Ma è spostandosi dal versante dell’adattamento a quello della mitigazione che il filo rosso delle politiche per il clima mette in evidenza una realtà  particolarmente vivace. È quella degli enti locali italiani impegnati per il clima, che da anni lavorano con grande determinazione e con ottimi risultati. Nell’ultimo ventennio, infatti, gli sforzi internazionali (dal vertice di Rio del 1992 con la nascita di Agenda 21, fino alla strategia europea “20-20-20” e il Patto dei Sindaci, nato nel 2008) si sono focalizzati sugli spazi metropolitani come luoghi cruciali dove affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. Le città , infatti, sono considerate insieme parte del problema ma anche cuore della soluzione, in virtù dell’alta densità  abitativa, dell’elevato impatto ambientale ed energetico, del peso economico e dell’alta vulnerabilità .

È in questo scenario di responsabilità  che i piani clima locali sono diventati i principali strumenti di policy in grado di orientare un vasto set di politiche metropolitane verso obiettivi di mitigazione e adattamento, divenendo negli anni un vero e proprio strumento urbanistico in dote ai Comuni e alle Regioni. L’iniziativa europea “Patto dei Sindaci”, in particolare, ha visto l’adesione di ben 2091 comuni italiani, 1131 dei quali hanno già  approvato un piano. “Nessun altro Paese europeo può vantare numeri così alti”, spiega ancora Bompan. “La sfida, ora, è quella di integrare, nei piani che oggi prevedono quasi esclusivamente misure di mitigazione, anche la declinazione delle strategie di adattamento su scala locale, per fare in modo di condurre le città  su un percorso di transizione verso un futuro «low-carbon» e ad alta resilienza”. Perché, come sottolinea Daniel Lerch, ideatore del movimento delle “Post Carbon Cities”, il futuro delle città  e di chi le abita sarà  segnato dalla loro capacità  di liberarsi per tempo dalla dipendenza dai combustibili fossili, e dalla loro lungimiranza nel predisporre strategie di lungo periodo per la resilienza. Ed è certo che con la collaborazione di tutti – comunità  scientifica, politica, media, opinione pubblica – la strada sarà  senz’altro meno ripida.

Emanuele Lazzarini


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