È morto Chà¡vez l’ultimo caudillo

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PENSANDO all’uomo che ha governato fino a ieri il Venezuela, vincendo quattro elezioni consecutive, vengono in mente i personaggi delle epopee letterarie dell’America Latina, come viene in mente la tragica parabola di Simà³n Bolà­var, da cui Chà¡vez trasse impulso e leggenda collocando nel palazzo di Miraflores perfino una poltrona vuota, quella del “Libertador”, accanto alla sua. Nel bene e nel male Chà¡vez ha attraversato oltre un decennio di storia, determinandola con la forza delle sue intuizioni e delle sue scelte. Persino delle sue «ricette» politiche che, magari riviste e corrette, hanno fatto scuola in molti Paesi, dal Brasile all’Argentina, dall’Ecuador alla Bolivia.
Anche quando entrò sulla scena per la prima volta, il 4 febbraio 1992, guidando un fallito colpo di Stato militare contro il presidente Carlos Andrés Perez, aveva già  le idee chiarissime. Dieci anni prima, insieme ad un gruppo di giovani militari, Chà¡vez aveva fondato il «movimento bolivariano rivoluzionario 200» (allusione ai 200 anni dalla nascita di Bolà­var), che nei loro obiettivi avrebbe dovuto «cambiare il Paese» allontanando dal potere i vecchi partiti e i vecchi oligarchi incapaci di affrontare e risolvere l’estrema povertà  della maggior parte dei venezuelani.
Un passaggio chiave nell’avventura politica di Chà¡vez fu il famoso «Caracazo » del 1989. Il 27 e 28 febbraio di quell’anno l’esercito represse nel sangue una rivolta popolare contro un pacchetto di misure anticrisi imposte dal Fondo monetario internazionale. La violenza dei militari fu particolarmente brutale in tutta la cintura dei quartieri popolari alla periferia di Caracas, e il numero delle vittime non fu mai reso noto ufficialmente (alcune fonti parlarono di 3500 morti).
Tre anni dopo, in memoria di quella strage, Chà¡vez tentò il putsch. Andò male e si arrese quasi subito ma nei «barrios» della capitale divenne un eroe così venerato che per la rivincita doveva solo attendere il suo momento. Trascorse appena due anni in carcere e, appena uscito, riprese l’attività  politica.
Il primo incontro con il leader che avrebbe guidato e appoggiato la sua ascesa, Fidel Castro, avvenne alla fine del 1994, pochi mesi dopo la sua uscita dalla prigione. Subito dopo fondò il movimento Quinta repubblica e la coalizione elettorale «Polo patriottico », che in poco tempo raccolse l’appoggio di tutte le formazioni della sinistra
venezuelana. Il 6 novembre del 1998 finalmente il successo. Chà¡vez venne eletto presidente con il 56,5 per cento dei voti.
Da quel momento la sua unica ossessione fu quella di trasformare in eterna la vittoria mobilitando una parte della società  venezuelana, quella più indigente, contro l’altra, «los escualidos» (gli squallidi) della classe media alta e dell’aristocrazia, rurale e petrolifera. Appena arrivato a Miraflores, il palazzo presidenziale nel vecchio centro barocco di Caracas, Chà¡vez modificò la Costituzione, allungando a sei anni il mandato. Poi lo rese perenne: il presidente può ripresentarsi tutte le volte che può. Infine, al termine di un lungo braccio di ferro che si ricorda con il nome di «paro petrolifero», e dopo un golpe fallito contro di lui, tra la fine del 2002 e il 2003, conquistò le chiavi della cassaforte: il controllo personale e assoluto su Pdvsa, la holding del petrolio.
Una strategia perfetta che gli ha garantito il trionfo in tre elezioni successive: 2000, 2006 e 2012. Per oltre dieci anni ha fatto in Venezuela tutto quel che ha voluto, umiliando qualsiasi opposizione. Ha chiuso Rctv, la tv degli escualidos e ridotto all’obbedienza tutte le altre. Litigato con il re di Spagna e rotto con Washington. Ma soprattutto ha usato la sua grande risorsa, il petrolio, per modificare il ruolo geostrategico del Venezuela. Stringendo nuove alleanze con Cuba, l’Iran e infine la Cina.
Senza freni Chà¡vez ha anche cercato di allungare la sua egemonia su Centro e Sud America, proponendosi come modello a molti personaggi in cerca d’autore. Dalla peronista Cristina Kirchner, nuova Evita dell’Argentina; a Evo, il presidente «indio» della Bolivia; a Daniel Ortega, il sandinista invecchiato male di Managua; fino a Correa, presidente caudillo dell’Ecuador. Suo mentore e spesso, finché ne ha avuto le forze, suo stratega, è stato Fidel Castro, che dopo anni di precario isolamento, post caduta del Muro e dell’Urss, aveva trovato in Chà¡vez la capacità  dissuasiva — milioni e milioni di barili di greggio — che dalla sua piccola e povera isola non avrebbe mai immaginato di possedere.
Nel suo Paese, confondendo sempre, da buon caudillo, il governo con lo Stato, ha occupato tutto quel che c’era da occupare. Riuscendo comunque a galvanizzare masse con le sue «misiones », i programmi sociali, che non hanno cambiato l’esistenza degli indigenti ma certo gliela hanno resa meno penosa e umiliante. Grazie a Chà¡vez migliaia di venezuelani si sono potuti operare gratis, molti hanno avuto una casa, altri un paio di occhiali, altri ancora un vitalizio.
Giudicare oggi la profondità  dei cambiamenti che è riuscito a realizzare non è facile. Bisognerà  lasciar riposare tutta la sabbia della propaganda prima di valutare gli effetti del suo «socialismo del XXI secolo» ma non c’è dubbio che nella sua morte prematura c’è un aspetto crudele. Il suo tormento per diventare perenne s’è scontrato con un male incurabile. Così quella di Chà¡vez è un’altra rivoluzione interrotta, abbandonata ai suoi precari epigoni, che lo trasformerà  in un altro immortale o, se volete, più cinicamente, in un’altra effigie da t-shirt come Evita, il Che o Sandino.


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