Grasso e Boldrini presidenti Si spezza il fronte dei 5 Stelle

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ROMA — La «mossa del cavallo» di riserva — Laura Boldrini alla guida della Camera e Piero Grasso al vertice del Senato — prende definitivamente forma alle 16, quando si capisce che può farcela anche il candidato di Pierluigi Bersani per la presidenza di Palazzo Madama. Le due caselle più importanti del Parlamento, dunque, sono finite nel carniere della sinistra, però questo non vuol dire che ci sia pure al Senato una maggioranza autonoma capace di votare la fiducia a un nuovo governo guidato dal Pd.
Così, una volta eletta per il vertice della Camera la paladina dei diritti umani Laura Boldrini (funzionaria dell’Unhcr impegnata sul fronte dei rifugiati, candidata nelle liste di Sel), l’attenzione è rivolta al terzo piano di palazzo Madama dove sono riuniti i montiani e i grillini, ai cui voti sono appese le sorti della coalizione di Bersani. Se a Montecitorio i progressisti possono contare su 340 deputati (Laura Boldrini è passata con 327 voti, con 13 defezioni dunque), al Senato la partita a scacchi è molto più complicata.
Per cui, nel primo pomeriggio, orecchie tese dietro la massiccia porta della commissione Industria oltre la quale i 53 senatori grillini se ne dicono di tutti i colori sull’eventualità  che il loro «non voto» faccia prevalere il presidente uscente Renato Schifani (Pdl) sull’ex procuratore nazionale Antimafia Grasso (Pd). Nell’aula in cui è riunito il M5S volano parole grosse. Il lucano Vito Rosario Petrocelli abbandona la riunione in segno di dissenso, il campano Bartolomeo Pepe fa sapere che Salvatore Borsellino (fratello del magistrato assassinato dalla mafia nel ’92) ha supplicato di votare Grasso. Mentre i siciliani (tra gli altri, Nunzia Catalfo e Vincenzo Santangelo) fanno notare ai colleghi che loro non potrebbero più varcare lo Stretto se il Movimento risultasse determinante per la sconfitta di Grasso. Non passa la linea del capogruppo, Vito Crimi, che avrebbe preferito la scheda annullata. Poi si vota a ripetizione nell’assemblea dei grillini ma alla fine la confusione regna sovrana perché lo stesso Luis Alberto Orellana dice: «La nostra linea non cambia». E cioè? «Scheda nulla o scheda bianca….Anche perché col voto segreto c’è sempre la libertà  di coscienza….».
La decisione dei grillini di non decidere — e la scelta dei 21 centristi di deporre nell’urna la scheda bianca — aprono il varco per Grasso. E l’ex magistrato lo sa. Tanto che, quando sta per infilarsi in Aula, risponde così a chi gli dice «In bocca al lupo!»: «Stavolta, il lupo lo strozziamo». E così l’Assemblea – diretta in modo impeccabile dal senatore a vita Emilio Colombo — vota al ballottaggio secondo le previsioni. Per l’ex magistrato si schierano 137 senatori: 109 del Pd, 7 di Sel e 9 delle Autonomie, che in totale fanno 125. Ai quali però si aggiungono 12 esterni alla coalizione presumibilmente in arrivo dal M5S. Però Grasso ce l’avrebbe fatta anche se il «soccorso rosso» grillino si fosse limitato a votare scheda bianca. Renato Schifani, infatti, non va oltre i 117 voti e fa il pieno dei suoi (98 Pdl, 17 Lega più 1 del Grande Sud e 1 delle Autonomie). Le bianche sono 52, le nulle 9: per cui l’area dichiarata del non voto (Grillo-Monti) perde 13 voti e si ferma a quota 61.
Alla fine, tutto il Senato (anche il Pdl, da Silvio Berlusconi ad Antonio Razzi) saluta con un lungo applauso Piero Grasso che riceve il passaggio delle consegne da Colombo e il saluto dal concittadino Schifani. Tuttavia, questi numeri non saranno sufficienti per far nascere un governo perché a palazzo Madama lo spartiacque per Bersani è fissato a quota 160, sotto la quale nessuna fiducia sarà  mai possibile senza l’apporto di almeno altri 20-30 senatori.
Diversa la situazione alla Camera dove l’aula, presieduta da Antonio Leone (Pdl), ha accolto l’elezione di Laura Boldrini con una vera standing ovation: tutti i deputati in piedi, tranne quelli del Pdl, per salutare la terza donna che arriva a ricoprire la terza carica dello Stato.


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