Il Cavaliere e l’operazione per «mangiarsi» Monti

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Una settimana può sembrare un’eternità , e chissà  quante eternità  dovranno ancora passare prima di trovare la soluzione al rebus del governo. Al momento tutti si rincorrono, ognuno con obiettivi diversi.
C’è Berlusconi che insegue Bersani per un gabinetto di «larghe intese», c’è Bersani che insegue Grillo per un esecutivo di «scopo», e c’è Grillo che invece insegue le elezioni e basta. Toccherebbe al capo dello Stato porre fine al gioco per dare stabilità  al sistema, ma la composizione del Senato rende la sfida molto complicata. Perché il segretario del Pd non ha i numeri per formare una maggioranza, e l’opera di «stalking» verso i grillini non può ridursi a una campagna acquisti tra i parlamentari a Cinquestelle.
Il paradosso, uno dei tanti in questo tormentato avvio di legislatura, è che i Democratici — insieme a ciò che resta dei centristi — non avrebbero la forza di andare a palazzo Chigi, ma potrebbero eleggere il nuovo presidente della Repubblica, quando verrà  il momento. È un dettaglio che non è sfuggito al Pdl nell’analisi della situazione, perché potrebbe avere un peso rilevante nella sfida di governo e potrebbe giocare a loro sfavore.
C’è un motivo quindi se Berlusconi, ingobbito dai guai giudiziari, ha ventilato l’ipotesi di tornare subito alle urne dopo la modifica del sistema di voto. E la manifestazione indetta per il 23 marzo contro la «magistratura politicizzata» ha un forte sapore elettorale. Il Cavaliere è convinto che — qualora si tornasse a consultare i cittadini — avrebbe delle chance di vittoria, «perché Grillo si mangerebbe il Pd ma noi ci mangeremmo Monti». E grazie agli altri partiti della coalizione di centrodestra potrebbe forse restare davanti a M5S.
Il fatto è che alle elezioni non si potrebbe tornare subito, siccome Napolitano — giunto a fine mandato — non può sciogliere le Camere, potere che avrebbe invece il suo successore. Ed è qui che il Pdl ha fiutato una possibile «trappola»: cosa accadrebbe se le trattative per formare il governo si trascinassero a ridosso della scadenza di mandato dell’attuale presidente della Repubblica? A quel punto i Democratici — escludendo Berlusconi dalle scelte per il nuovo inquilino del Quirinale — potrebbero uscire dall’angolo in cui si trovano al momento.
«Il rischio c’è», riconosce l’ex ministro Fitto: «Sarebbe una furbizia che avrebbe il sapore di un grave sgarbo politico nei nostri confronti e di un gravissimo sgarbo istituzionale nei riguardi del capo dello Stato. Si tratterebbe di un atto che noi saremmo pronti a denunciare». Di paradosso in paradosso, oggi Napolitano è vissuto nel centrodestra come una sorta di nume protettore delle regole del gioco. Perché la linea del Colle in vista delle consultazioni è chiara, tanto che ieri Europa — quotidiano del Pd — ne ha fatto il titolo di prima pagina: «Senza maggioranza non ci sarà  incarico».
Ed è evidente la divergenza con Bersani, che ipotizza un governo di minoranza e si prefigge di cercare in Parlamento i voti per andare avanti. Quale sia il livello di tensione tra il Colle e i Democratici lo si intuisce dai ragionamenti di molti dirigenti del Pd, che ormai senza censurarsi teorizzano come «il partito debba assumere un atteggiamento adulto nei confronti di Napolitano». Già  prima del voto il segretario aveva denunciato a denti stretti che «i patti» stipulati alla nascita del governo Monti non erano «stati rispettati» dal Professore e dal Cavaliere.
E il risultato della scorsa settimana, la «sconfitta», ha acuito l’insofferenza di quanti nel Pd avevano per tempo sottolineato come il varo del gabinetto tecnico non avesse «consentito al partito di cogliere l’attimo» della crisi berlusconiana per capitalizzarlo nelle urne. Quell’attimo in effetti c’è stato, anche lo scorso anno sarebbe stato forse possibile garantirsi il successo senza grandi patemi. Perché il comico non era ancora pronto a diventare leader, come ha rivelato qualche giorno fa l’ex grillino Favia, che dopo il divorzio da M5S si è candidato con la lista di Ingroia.
L’esponente di Rivoluzione Civile — al termine di una trasmissione televisiva — ha raccontato che «se si fosse votato nel 2012, Grillo non si sarebbe presentato alle elezioni. Ricordo che a quei tempi Casaleggio diceva: “Se si vota adesso non ci presentiamo. Abbiamo bisogno di tempo, dobbiamo arrivare almeno all’anno prossimo”». Così è stato, Grillo ha fatto «boom» e promette di fare un botto ancora più forte se si dovesse tornare alle urne a breve termine.
Perciò il capo di M5S non si lascia acchiappare da Bersani, mira alle elezioni anticipate e medita la «marcia su Roma», con la conquista del Campidoglio a maggio. Un obiettivo che sarebbe alla portata, se gli incubi del Pd si trasformassero in realtà : i Democratici capitolini temono che il sindaco Alemanno sia elettoralmente troppo debole, che al ballottaggio possa arrivare il candidato grillino, trasformando Roma in un nuovo e più clamoroso «caso Parma».


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