Il Cavaliere tentato: telefonare al leader pd per cercare un accordo

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ROMA — Una telefonata può allungare la vita di una legislatura? Chissà . E chissà  se stamattina Berlusconi avrà  fatto quella telefonata che ieri sera aveva in mente: «Sono indeciso se chiamare Bersani». L’ultima volta che si sono parlati, il segretario del Pd si era ripromesso di dare una «smacchiatina» al Cavaliere nelle urne. Che possano mettersi d’accordo pochi giorni dopo per formare una maggioranza di governo appare impossibile. «Lo so che Bersani è un tipo testardo», sostiene il leader del centrodestra: «Ora vedremo se è un leader. Lui sa che l’unica soluzione naturale sarebbe una collaborazione tra noi e loro su precisi punti programmatici. Così come noi sappiamo che la base del suo partito è ostile a questa collaborazione. Però in certi passaggi storici un politico deve dimostrare di essere un leader. Se è un leader si fa seguire dalla base, perché indica qual è la strada giusta in quel momento».
Una telefonata può bastare per ripristinare le comunicazioni tra acerrimi rivali? «Non lo so, sono indeciso se chiamarlo», diceva ieri sera Berlusconi. Chissà  se l’avrà  fatto, pensando davvero di far cambiare idea a Bersani, che nel documento da presentare oggi in direzione ha voluto inserire un passaggio vincolante per il partito: senza far cenno all’ipotesi del voto anticipato — così da non esacerbare un rapporto già  surriscaldato con Napolitano — il capo dei democrat ha posto una pregiudiziale sull’intesa con il Pdl. È un paletto che dovrebbe impegnare il Pd qualunque sorte toccasse al suo tentativo di formare un governo. Insomma, è un giro di parole per evocare comunque le urne, se il suo tentativo dovesse fallire.
«Ma l’idea di incastrare i Cinquestelle in maggioranza non può riuscire», secondo Berlusconi: «Grillo non si farà  mai ingabbiare. La radice del suo successo poggia sul fallimento della politica economica europea. Eppoi, come potrebbero i Democratici accordarsi con uno che teorizza la rinegoziazione del debito? Queste parole sono un crimine contro lo Stato: come reagirebbero gli investitori stranieri?». Se è chiaro come reagirebbe il Pd nel caso in cui Bersani aprisse al Pdl, è altrettanto evidente nel ragionamento di Berlusconi che un tale progetto non potrebbe approdare nelle Aule parlamentari. E senza voler interferire con le prerogative del capo dello Stato, immagina che «Napolitano non possa far formare un governo a chi non ha una maggioranza».
Una telefonata può servire per esortare un rivale a siglare una tregua? Ieri sera il Cavaliere era indeciso se farlo: «La mia impressione è che Bersani voglia andare al voto mentre temo che vada a sbattere». In quel caso, dopo, inizierebbe un altro giro e «comunque si dovrebbe ragionare». Nella testa di Berlusconi sarebbe Renzi «l’interlocutore», non per indicarlo come presidente del Consiglio. No, in questa legislatura il leader del centrodestra immagina un governo a guida tecnica con innesti di esponenti politici, che duri «almeno tre anni» e che — attraverso un percorso di riforme — «sgonfi il fenomeno Grillo, lasciato intanto all’opposizione».
Con il sindaco di Firenze si dovrebbe invece ragionare di futuro, da parti contrapposte, per avviare una «rivoluzione di quarantenni che dia una svolta al Paese». I fondamentali del bipolarismo sarebbero salvi, perché questo è l’obiettivo di Berlusconi, che vede il «centrino» montiano come una sorta di Polonia a cui già  stanno preparando l’assalto il Pdl e Renzi per spartirsi le spoglie. Alfano — all’incontro di ieri con gli eletti lombardi — lo ha teorizzato: «C’è una massa elettorale di dieci punti che è aggredibile, lo riscontriamo già  nei sondaggi. Sono quanti hanno seguito Monti, Casini e Fini, e hanno visto fallire quel progetto. Questi dieci punti saranno il carburante per vincere alle prossime elezioni».
Resta da capire quando si terranno le prossime elezioni, e quale sarà  la nuova geografia politica, perché — secondo il segretario del Pdl — il centrodestra avrà  come avversario o il Pd o Grillo, «contro cui alla fine prevarremmo». Secondo Alfano, «dipenderà  da Bersani» — dalle sue imminenti mosse — quale sarà  lo scenario futuro. È stato un modo per lanciare al segretario democratico un messaggio, affinché comprenda la delicatezza del momento.
Una telefonata può anche essere inutile, e chissà  quindi se Berlusconi stamattina avrà  chiamato il leader dei democrat. Ma c’è un motivo se Alfano ha puntualizzato al vertice del Pdl che «noi vogliamo tentare di costruire un nuovo bipolarismo insieme al Pd».


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La menzogna del potere

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Il potere mente. Per abitudine alla manipolazione e per istinto di conservazione. Non c’è bisogno di aver letto la prima Hannah Arendt, o l’ultimo Don De Lillo, per sapere che “lo Stato deve mentire”, o che il governo tecnicamente totalitario “fabbrica la verità  attraverso la menzogna sistematica”. Ma nessun potente mente con la frequenza e l’impudenza di Silvio Berlusconi. Non pago di aver danneggiato il Paese che governa, in un drammatico e surreale “colloquio” elemosinato a Obama a margine di un vertice tra gli Otto Grandi del pianeta, il presidente del Consiglio torna sul luogo del delitto.

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