Il consumismo è morto benvenuti a Gomorra

by Sergio Segio | 24 Marzo 2013 8:30

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Oggi che questo evento si è realizzato, che lo spettacolo è andato in frantumi e abbiamo bruscamente riacquistato il contatto con la realtà , l’impressione che ne traiamo non è di liberazione, quanto piuttosto di disperazione e rimpianto. Cypher, il traditore di Matrix, non chiede in cambio del suo tradimento dei benefici economici: vuole solamente regredire allo stato di incoscienza che caratterizzava la sua vita prima di assumere la fatale pillola rossa, che l’ha liberato dalle accoglienti illusioni di Matrix per scagliarlo brutalmente nei sotterranei della vita vera, dove si combatte in trincea contro il male, ma a costo di rinunciare a ogni piacere. Conoscere la verità  non significa necessariamente schierarsi dalla parte giusta. Marx come ispiratore di rivolta ha avuto un compito tutto sommato più facile di Debord. Marx aveva come oggetto di studio la prima rivoluzione industriale, e la sua analisi era intrisa di sudore, sfruttamento e dolore. Il consumismo invece non viene percepito come sofferenza, ma come godimento condiviso, redistribuzione del benessere.
Se quindi Marx ha buon gioco a connotare di significati negativi il concetto di alienazione, Debord, che è una sorta di Marx del consumismo, prova maggiori difficoltà  a farci odiare la contemplazione, che è l’anello di congiunzione tra alienazione e spettacolo. Anche la contemplazione è passività , ma una passività  che non nasce dall’impotenza bensì dall’ammirazione. Si contempla la Madonna, si contempla il sacro, si contempla lo spettacolo. Lo spettacolo, inteso come consumismo, ha rappresentato nel nostro recente passato una sorta di sacralità . Se dunque lo spettacolo è morto non è perché l’abbiamo combattuto, ma perché le leggi economiche hanno preso un’altra strada. Alla fine degli anni Settanta nacque il capitalismo finanziario. Il valore non scaturisce più dal lavoro, dalla produzione e dal consumo. Nasce dal mercato, dalla libera contrattazione dei valori azionari. Spazzato via il mondo della produzione reale, lavoro e consumi diventano superflui. Le luci dello spettacolo si spengono ad una ad una e il mondo sembra tornato a uno scenario da prima rivoluzione industriale. Finito il consumismo, cosa può dunque insegnarci oggi Debord? In realtà  sembra che le sue risorse profetiche si rivelino inesauribili. Nel 1988 scrisse I commentari sulla società  dello spettacolo che descrivono lucidamente non la società  di allora, ma la realtà  di oggi.
Ne La società  dello spettacolo Debord identificava due forme di spettacolo, legate a due diverse forme di regime politico: lo spettacolo concentrato, proprio delle società  totalitarie e dittatoriali, e lo spettacolo diffuso, proprio delle democrazie occidentali dominate dal consumismo. Nei Commentari introduce il concetto di spettacolo integrato, che ha molte caratteristiche in comune con lo spettacolo concentrato, dove «il centro direttivo è ormai diventato occulto». Qui la Mafia non rappresenta più un residuo arcaico del passato, ma il modello economico vincente: «nell’epoca dello spettacolo integrato, essa appare di fatto come il modello di tutte le imprese commerciali avanzate». Ancora una volta Debord descrive dal passato il nostro presente. Pensiamo al concetto di spettacolo integrato, miscela di stato tollerante e autoritario, come anticipazione del capitalismo autoritario contemporaneo. E pensiamo all’idea di Mafia come modello di tutte le imprese future. Incomprensibile nel momento in cui viene scritta, quella definizione anticipa in maniera sorprendente un’opera come Gomorra: la delinquenza non è corruzione, deviazione, ma la matrice stessa della produzione capitalistica.

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