Il flop del Collocamento solo il 3% dei disoccupati trova il posto allo sportello
ROMA — Ore 10.30: al Centro per l’impiego di Milano non si distribuiscono più prenotazioni. Chi è rimasto fuori tornerà , dentro è già pieno di persone. Disoccupati venuti a certificare il proprio stato, sulla carta il primo passo di un percorso di ricollocamento. Sono le politiche attive per il lavoro: non sostegno al reddito, ma orientamento e formazione utili a trovare, o ritrovare, un posto. Dalla fine degli anni ’90 competono a Regioni e Provincie. Ma restano uno dei grandi ritardi del welfare italiano. Tra i fortunati che trovano impiego, infatti, solo il 3% lo fa attraverso questo canale. E le risorse stanziate sono al minimo: lo 0,029% del Pil, un decimo della Francia, un ventesimo della Svezia, sotto anche alla Bulgaria.
Il numero di utenti, nel 2012, è esploso. Nel solo ufficio di Milano 28mila nuovi iscritti, il 16% più dell’anno precedente. A Roma il totale è passato da 695mila a 762mila: «La gran parte si registra per motivi burocratici», dice Francesco Costanzo, dirigente per le politiche del lavoro della Provincia. «Con lo stato di disoccupazione si ottiene l’esenzione ticket o dall’imposta sui rifiuti». Molti dei 10mila impiegati dei centri sono assorbiti da questa attività di sportello. Le assunzioni, bloccate dalla riforma Brunetta. Così a curare le politiche attive restano in pochi, spesso senza le competenze adatte. Più che psicologi o sociologi del lavoro, i dipendenti sono ex colletti bianchi del ministero. La Francia ha un esperto di orientamento ogni 200 abitanti, l’Italia uno ogni mille.
I percorsi di ricollocamento variano secondo la Regione. Di norma, un primo colloquio serve ad analizzare la situazione del disoccupato e stabilire se ha bisogno di nuove qualifiche. «Nel 2012 i corsi di formazione organizzati da Provincia e Regione sono stati pochi, per lo più rivolti ad immigrati», racconta Danila Di Roma, responsabile del centro per l’impiego Tiburtino, nella semiperiferia romana. «E nel 2013 rischia di andare peggio, visto che la Provincia è commissariata». In Lombardia i disoccupati possono seguire un corso in un istituto privato, finanziati con un voucher della Regione. Ma l’emergenza è simile: «Stiamo per rinegoziare il contratto di esercizio», dice Giuseppe Zingale, vicedirettore di Afol, l’agenzia speciale che gestisce il centro per l’impiego di Milano. «Si prospetta un taglio del budget del 20%». I servizi si concentrano sui soggetti più deboli: invalidi, immigrati, lavoratori anziani licenziati. «Le politiche attive sono quasi tutte finanziate con fondi comunitari», spiega Patrizia Paganini, dirigente della Provincia di Bologna. Brevi cicli di formazione, spesso di gruppo: informatica, lingue, o altre discipline legate al tessuto produttivo locale. «La parte difficile è attirare le aziende, le risorse per fare marketing territoriale non ci sono più». Intanto il ministero del Lavoro neppure dispone di dati aggiornati sui centri. Il progetto, per ora solo abbozzato, è di fissare livelli essenziali di servizio, vincolanti in tutto il Paese. «Ma l’impressione – conclude Paganini – è che nessuno abbia ancora deciso come organizzare le politiche attive. E che ruolo dare ai centri pubblici per l’impiego».
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