Il piano dei centristi per rompere il silenzio: 5 anni di larghe intese

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ROMA — Si tratta di discrezione, riservatezza? Della coscienza di non essere determinanti? È l’effetto della botta elettorale, attorno al dieci per cento quando si pensava di pesare almeno il doppio?
Qualcosa di tutti e tre questi motivi, fatto è che il centro, scopertosi debole nelle urne, è svanito negli ultimi dieci giorni anche dal pubblico dibattito. Le agende però non sono in bianco. Sottotraccia, il campo centrista cerca di rimuovere lo choc, riprende a muoversi.
Monti, per dire, ieri mattina è stato dal presidente Napolitano e poi ha pranzato con Pier Ferdinando Casini, uno dei suoi due alleati ridotti all’osso dal voto: Casini conserva un manipolo di una decina di parlamentari (lui compreso, neosenatore), Fini è fuori, con tre soli eletti di Futuro e libertà . Monti e Casini hanno esaminato ieri la scena del dopo voto. Monti è l’unico leader centrista ancora pienamente in gioco, quindi Casini ha svolto il ruolo del consigliere esperto. Fra le tante ipotesi che circolano, la più gradita ai centristi è quella di un nuovo governo Monti, con una maggioranza simile a quella attuale (Pd-Pdl-centro), ma che possa durare cinque anni. Perché il governo Monti — secondo l’analisi del tavolo Monti-Casini — ha avuto il più grande difetto nella durata: una politica per rimettere in piedi il Paese non poteva essere realizzata in un anno, anzi in un anno sono state solo messe in moto le parti più rigide e «punitive» delle riforme.
Ma è più facile che un «governo del Presidente» sia messo in piedi (anche non presieduto da Monti) per un breve periodo allo scopo di fronteggiare l’emergenza istituzionale e di rassicurare i mercati. «Un governo tipo Monti, con Monti allenatore», dicono, con un po’ di mistero, nelle stanze di Italia Futura, l’associazione di Montezemolo. Molto più impervia la strada dell’appoggio a un governo Bersani-Grillo. Ricordava ieri la neosenatrice montiana Linda Lanzillotta che, se questo governo nascesse al Senato con l’uscita dall’Aula di Grillo al momento della fiducia, i voti centristi diventerebbero decisivi. C’è anche l’ipotesi di un governo Monti prorogato fintanto che non si trovi la soluzione per un nuovo esecutivo, ma questo significherebbe governare a scartamento ridotto.
Per tener fede agli impegni presi prima delle elezioni, si discute anche del gruppo parlamentare unico da costituire alla Camera (al Senato la lista era unica e quindi viene naturale). Poi, sempre secondo gli accordi pre elettorali, si dovrà  costruire una vera e propria formazione politica, che si dovrebbe chiamare Popolari per l’Europa (Ppe, come Partito popolare europeo). Di questo Monti ha parlato con Montezemolo e la discussione proseguirà  mercoledì, quando il presidente del Consiglio ancora in carica riunirà  i suoi nuovi parlamentari nella Sala della Minerva, in una delle sedi del Senato. Andranno sciolti alcuni nodi fra le due componenti principali di Scelta civica, la formazione di Monti: quella che fa capo al ministro Riccardi e alla comunità  di Sant’Egidio e Italia Futura. Ci sono questioni di leadership, e poi, per esempio, i primi sarebbero più favorevoli all’ingresso nel Partito popolare europeo, i secondi — che hanno un’impostazione più laica — meno.
L’Udc di Casini, per quel che ne resta, giovedì, ha convocato un Consiglio nazionale: si parlerà  del «superamento» della stessa Udc. Solo macerie, invece, dalle parti di Fini. La prestigiosa sede di via Poli è stata sgomberata, ma sarà  ancora agibile, sempre giovedì, per l’incontro tra Fini e i suoi uomini, quasi tutti fuori dalle Camere. «Triste è vedere che Scilipoti e Razzi sono dentro e noi no — dice l’ex deputato Fabio Granata —. Gli elettori ci hanno azzerato, ora bisogna azzerare tutti i dirigenti e ricominciare con una nuova destra legalitaria e repubblicana». Con tutta la stima e l’affetto per Fini.


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