Il tabù (caduto) del conto in banca
Un balzello che fruttò oltre 5 mila miliardi di vecchie lire e che venne utilizzato, insieme ad altri, per affrontare la crisi finanziaria che portò poi all’uscita dallo Sme e alla svalutazione della lira, avvenuta nell’autunno di quello stesso anno.
Una tassa molto contestata: nel 1994 fu sollevato addirittura un dubbio sulla sua costituzionalità , respinto però con una sentenza dalla Suprema Corte. L’odiato prelievo fu però una decisione nazionale: il governo italiano la prese in autonomia, mentre nel caso di Cipro, il Parlamento voterà una misura che è anche il frutto di un drammatico confronto con l’Unione Europea, disposta a mettere sul piatto solo 10 dei 17 miliardi necessari per salvare Nicosia. La minuscola economia cipriota, dotata di un sistema bancario ipertrofico (vale 9 volte il Pil nazionale), rischia un’implosione simile a quella a cui andò incontro sei anni fa l’Islanda, quando gli istituti finanziari di Helsinki arrivarono a valere oltre 12 volte il Prodotto interno lordo della terra al confine col Polo Nord. Ma l’Islanda è caduta e si è rialzata da sola, Cipro è nell’Unione Europea.
Ed è nella solita incompiuta dell’Euro, la moneta senza politica fiscale comune, che vanno letti tutti i legittimi dubbi del caso: potrebbe toccare anche a noi?
Ieri, da più parti, anche dalla stessa Angela Merkel, si è ribadito che la garanzia pubblica sui depositi privati non è in discussione. E che, appunto, Cipro è un «caso particolare». Ma di quale garanzia parla la Cancelliera tedesca? Il riferimento può avere due significati. C’è quello che rimanda al paracadute che si apre in caso di fallimento bancario. Quello di cui i correntisti italiani si sono non molto tempo fa rinfrescati la memoria in occasione dello scandalo Monte Paschi di Siena: 100 mila euro per ogni intestatario che verrebbero appunto rimborsati ai correntisti dal Fondo interbancario di garanzia se un istituto di credito dovesse andare a gambe all’aria. Dal 2008 l’Europa ha regole simili in tutti gli Stati su questo tema. Nel caso di Cipro (e dell’ormai storico prelievo di quella notte italiana) la questione però è diversa: nessuna banca fallita. Solo una legge nazionale che stabilisce una tassa. In serata fonti europee hanno però chiarito che i vertici Ue si aspetterebbero da Cipro più protezione (e quindi, forse, aliquote meno draconiane rispetto al 7-10% paventato fino a ieri) per i titolari di depositi che non superino i fatidici 100 mila euro.
Le differenze tra Cipro e l’Italia sono notevoli, anche al netto del nostro delicato presente. Nell’isola i depositi bancari sono pari a 68 miliardi di euro, un terzo dei quali frutto di «emigrazioni» dalla Russia. Perché Cipro è una sorta di paradiso fiscale, dove la tassa sulle società è pari solo al 10% (ora salirà al 12,5%). La scure del Fisco, però, se non dovessero cambiare le cose in queste ore convulse, si abbatterebbe su tutti, ciprioti inclusi.
In Italia i conti correnti e i conti di deposito vincolati sono nell’ordine dei mille miliardi, 14 volte quelli di Cipro, e rappresentano circa un terzo della ricchezza finanziaria delle famiglie, pari a oltre 3 mila miliardi di euro. Ieri l’Abi, l’associazione bancaria italiana e Giuseppe Vegas, il presidente della Consob, hanno ribadito che il nostro sistema è solido, che i conti pubblici dell’Italia (per ora) reggono e che l’esposizione di tutto il sistema verso la sfortunata Nicosia non supera il miliardo.
La soluzione del problema di Cipro rischia di essere uno dei peggiori autogol dell’Unione. Difficile, se non impossibile, giocare in difesa. Il conto corrente è «borsellino» della vita quotidiana. Mentre i salvadanai online vincolati custodiscono soldi risparmiati a tassi annuali che in Italia oscillano tra il 2 e il 3% netto. Chi avesse liquidità non utile alla realizzazione di progetti molto vicini può decidere di investirla. I «mordi e fuggi» (nel ’92 fu così) in genere non toccano le gestioni di lungo termine. Se il prelievo dovesse diventare invece una patrimoniale su tutti gli asset finanziari, non si scappa.
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