La realpolitik e il cambiamento

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La gravità  dell’intervento di Napolitano è stata già  stigmatizzata da autorevoli (pochi) giornalisti (Massimo Giannini su Repubblica , Marco Travaglio sul Fatto), oltreché e da un duro comunicato Libertà  e Giustizia. E naturalmente dal manifesto con gli articoli di Andrea Fabozzi e Mauro Volpi.
Ma non ci si può fermare, non possiamo girare pagina, passare ad altre notizie, come se l’Italia fosse dentro un telegiornale, e dovessimo correre dietro alla bulimia dei media. La marcia dei parlamentari del Pdl dentro il Tribunale di Milano è episodio troppo grave e inaudito per coprirlo col rumore delle notizie sul papa. E’ accaduto che un corpo dello stato, come una qualunque squadraccia, è entrato nella sede dove la magistratura, un altro corpo dello stato, stava svolgendo il proprio difficile e delicato lavoro, per intimidirla. E debbo qui sorvolare sul fatto che tanti di quei manifestanti hanno già  coperto di vergogna e di disonore il Parlamento italiano, giurando sull’incredibile fandonia di Ruby “nipote di Mubarak”.
Anche quanto successo a Milano non era mai accaduto nella storia dell’Italia unita, fascismo a parte. Che cos’altro doveva succedere per il Presidente della Repubblica, perché pronunciasse una condanna senza alibi né contrappesi, di fronte a un’azione di così estrema gravità ? So bene che il Capo dello stato deve svolgere un’azione di persuasione morale e cercare di attenuare le asprezze dei conflitti tra le parti, specie in una fase complicata e difficile nella vita del nostro Paese.
 Ma come può Napolitano controbilanciare la condanna dell’episodio al palazzo di giustizia di Milano, aggiungendo di comprendere la preoccupazione del Pdl di «veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento»? E’ difficile far rientrare una simile affermazione nella sfera della moral suasion. I giudici impediscono a Berlusconi di svolgere la sua funzione? Ma l’intera vita politica italiana degli ultimi venti anni è la storia dei tentativi di Berlusconi di sfuggire alla giustizia con tutti i mezzi. Un fine perseguito, come in questi giorni, con i cavilli e le dilazioni di squadre di avvocati.parlamentari, pagati dunque anche da noi. Ma soprattutto attraverso il soggiogamento del Parlamento, la manipolazione delle leggi della Repubblica, piegate alle sue personalissime e inconfessabili necessità . Berlusconi, l’anomalia di potere più grave e insanata di tutto l’Occidente e oltre, sarebbe impedito nello svolgere le sue funzioni?
Ci sono due aspetti in questa posizione di Napolitano su cui occorrerebbe riflettere. La prima riguarda l’influenza paralizzante che in questa come in altre circostanze ha avuto ed ha sulle scelte di quello che era, o doveva essere, il maggiore partito d’opposizione. Lo si è visto con la scelta del governo Monti e lo si vede ora. Dal Pd non abbiamo sentito alzarsi un voce in difesa dei magistrati di Milano. Non sono costituzionalista e non azzardo giudizi di merito. Ma il peso che Napolitano ha da tempo sul Pd mi pare, di fatto, distorcente di una normale dialettica democratica. Naturalmente il Pd fa la sua parte in fatto di inerzia, silenzio e inettitudine. Fatto sta che da tanto tempo uno dei maggiori stati industriali del mondo è privo, nella sostanza, di un’opposizione politica.
La seconda osservazione riguarda questa speciale realpolitik italiana – da decenni linea di condotta del centro-sinistra – che prende atto prudentemente dei rapporti di forza in campo e sorvola “cattolicamente” sui peccati di legalità , di corruzione, di abuso, di sopraffazione dell’avversario. Non aver risolto il gigantesco conflitto di interessi di un impero mediatico piantato nel cuore di uno stato di diritto è conseguente a tale condotta. Ed è un veleno mortale che intossica la vita pubblica. Questo è, storicamente, il modo in cui il Pds, Ds, ora Pd ha guardato e continua a guardare a Forza Italia, Pdl e alla condotta di Silvio Berlusconi. Il più conseguente teorico di tale filosofia è Massimo D’Alema, la cui cultura politica mi appare “un amalgama mal riuscito” di cinismo da Terza Internazionale e lustrata ideologia neoliberista. Tale realismo ha costituito uno dei germi più perniciosi della malattia italiana. Perché il male più grave del nostro paese, ancora più difficile da curare della crisi economica, è l’immoralità  dilagante, l’abuso, la corruzione, l’accaparramento privato del bene pubblico, il godimento esibito dei privilegi, l’ingiustizia quotidiana fatta normalità , e soprattutto l’esistenza di una oligarchia politica al di sopra del bene e del male. Non sono né moralista, né giustizialista, per ricorrere al gergo corrente. Credo di fare il mio mestiere di storico. Sono abituato a esaminare la realtà  del passato con più categorie, che non quella della semplice moralità  pubblica. Ma cade ormai sotto l’ambito del giudizio storico il fatto che tale realismo, l’assenza di intransigenza morale nella lotta politica, ha costituito uno degli ingredienti micidiali per la corruzione dello spirito pubblico nazionale.
Lo spirito pubblico non è l’infatuazione di un momento, una moda transitoria. E’ l’anima di una nazione. Ed è in questo grave decadimento morale, di cui i partiti sono stati gli agenti fondamentali, che affondano le ragioni del declino del paese e del fallimento del sistema politico italiano. Vorremmo ricordare al presidente Napolitano che c’è una linea sottile in ogni tentativo di persuasione, di pratica del buon senso, oltre la quale il messaggio scivola nell’indistinto morale, oltre che politico. E questo finisce con l’accrescere la distanza tra i cittadini e le istituzioni.
Nel crepuscolo della cosiddetta seconda Repubblica si mostra in cristallina luce quanto avevano compreso gli antichi Greci, gli antenati di un popolo che l’Europa oggi mette in vendita al migliore offerente: « Gli dei accecano coloro che vogliono perdere.» E davanti a noi possiamo bene osservare quanto sono ciechi i comandanti di oggi, che continuano a marciare sicuri verso il precipizio. Purtroppo nel baratro stanno trascinando anche noi.
(www.amigi.org)


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