La ricerca spera dopo la bimba «guarita dall’Aids»

by Sergio Segio | 5 Marzo 2013 8:37

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NEW YORK — La dottoressa che le ha somministrato di recente la cura anti-Aids in un ospedale del Mississippi racconta che, guardando le analisi, all’inizio era stata presa dal panico: «Mio Dio stiamo imbottendo di farmaci antiretrovirali un bimba sana». Ma non era un errore, un caso di malasanità . Non c’è stato uno scambio di persona: la piccola — una bambina di due anni la cui identità  non è stata rivelata — semplicemente non ha più nel sangue il virus dell’Aids. Probabilmente grazie a una terapia antiretrovirale particolarmente precoce e aggressiva praticata mescolando tre diversi farmaci, somministrati per la prima volta 30 ore dopo la nascita.
La scomparsa della malattia (nel sangue sono rimaste solo alcune sue tracce, ma il virus vivo non c’è più, non si è più riprodotto da molto tempo) è un fatto straordinario, quasi senza precedenti. Se i risultati di questo caso, appena presentati a un congresso medico ad Atlanta, verranno confermati, si apriranno nuovi orizzonti nella lotta all’Aids: diventeranno curabili centinaia di migliaia di bambini che nascono ogni anno sieropositivi perché messi al mondo da genitori che hanno contratto la malattia.
Normalmente i soggetti Hiv positivi vengono trattati a vita coi farmaci in questione che riducono e tengono sotto controllo il virus, ma non riescono a sopprimerlo totalmente. L’unico precedente conosciuto è quello noto nella letteratura sanitaria come il «paziente di Berlino»: un americano che viveva in Germania, Timothy Brown, che nel 2007, mentre combatteva simultaneamente contro la leucemia e l’Aids, fu sottoposto a un trapianto di midollo. L’intervento, concepito per battere il cancro, eliminò dal sangue del paziente anche il virus dell’Aids. Brown, che ora vive a San Francisco, sostiene che il virus dell’Aids non si è più riaffacciato.
Ma il precedente berlinese, benché importante scientificamente, era considerato dai medici poco significativo dal punto di vista della creazione di un protocollo terapeutico: il trapianto di midollo è un intervento raro, estremamente rischioso e costoso. Oltretutto serve a curare una mutazione genetica che si riscontra solo in una ristretta platea di bianchi, prevalentemente nord-europei, mentre neri e asiatici non sono soggetti a quel tipo di alterazione.
Il caso del Mississippi è ben più significativo. Oggi i protocolli dell’Organizzazione mondiale della sanità  prevedono che un bimbo nato da una madre Hiv positiva venga curato con un cocktail limitato di farmaci per un periodo di 4-6 settimane. Se, poi, ai test successivi il neonato risulta infetto, si aumentano le dosi. Alle madri vengono, inoltre, somministrati i farmaci durante la gravidanza: terapie che riducono fortemente la possibilità  che il neonato riceva nell’utero, oltre agli anticorpi dell’Hiv (come accade nel 100 per cento dei casi) anche il virus vero e proprio.
Nel caso in questione non era stata fatta alcuna terapia preventiva perché la positività  della madre al virus era stata scoperta solo alla vigilia del parto. Visto che la neonata era stata così esposta, i medici decisero di tentare una terapia massiccia (tre farmaci combinati) e immediata. La bimba è stata in cura per 15 mesi. Poi la madre ha deciso da sola di sospendere il trattamento per nove mesi. Quando è stato ripreso i medici hanno fatto la straordinaria scoperta.
Massimo Gaggi

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