La riforma Fornero non sgonfia il boom delle partite Iva under35

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ROMA – Per vocazione. Per mancanza di alternative. O, sempre più spesso, perché obbligati. È mettendosi in proprio, da autonomi, che molti italiani inseguono il lavoro che non viene. Specie i più giovani. L’anno scorso nel Paese sono state aperte 549mila nuove partite Iva, il 2,2% in più rispetto al 2011. E oltre un terzo, 211mila, appartengono ad under35, con una crescita dell’8,1%. La voglia di imprenditorialità , peculiarità  italiana, sopravvive alla crisi. Il sospetto però, visto il momento, è che per tanti sia un’ultima spiaggia. “Riteniamo che molte delle nuove partite Iva stiano operando per un solo committente”, commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. Appesi ad un’unica fonte di reddito. O peggio, forzati dall’azienda, che non può o non vuole assumerli, a collaborare da autonomi. Dipendenti mascherati, false partite Iva. A dispetto della stretta annunciata con la riforma Fornero.

Ad un giovane non costa quasi nulla, la prima spiegazione del boom è questa. Da gennaio del 2012 è entrato in vigore il regime fiscale dei superminimi: un under35 con partita Iva, se guadagna meno di 30mila euro l’anno, paga solo il 5% di Irpef. “Questo incentiva a intraprendere una carriera professionale indipendente”, dice Paola Ricciardi, animatrice di Iva sei Partita, associazione dedicata al mondo degli autonomi. “Ma in molti casi si tratta di una necessità “. Lo chiedono le stesse aziende, alle quali un collaboratore esterno, rispetto ad un’assunzione o a un contratto a progetto, garantisce notevoli risparmi sui contributi. E più flessibilità , dopo che la riforma Fornero ha inasprito i vincoli sui rapporti a progetto o a tempo determinato: con l’autonomo il rapporto più essere interrotto a discrezione. “Il datore dice: posso pagarti 1000 euro lordi, con un progetto ne prendi 700, con la partita Iva 950”, spiega Ricciardi. Ma le garanzie sono molto inferiori. Niente ferie né maternità , per esempio. E in caso di fallimento dell’azienda, lo stesso status di un fornitore: si viene pagati solo dopo i dipendenti.

Il fenomeno è trasversale. Vale per i giovani professionisti, quelli iscritti ad un ordine come ingegneri e architetti, e quelli senza albo come archeologi o fisioterapisti. Nel 2012, le partite Iva aperte da under35 nel settore delle attività  professionali sono state 45mila, un quinto del totale. Ma la fetta più importante dei nuovi autonomi, 51mila, lavora nel commercio all’ingrosso o al dettaglio, come agente o intermediario. E oltre 20mila nelle costruzioni, muratori, fabbri o piastrellisti. “Nell’edilizia è una tendenza consolidata”, dice Gabriele Rotini, coordinatore di Cna Professioni. “Le imprese si affidano sempre di più a lavoratori autonomi, specie dopo il grande afflusso di manodopera immigrata. Essere assunti è molto difficile”.

Se il cliente è importante, garantisce un fatturato sufficiente, averne uno solo può essere una scelta. Spesso però la monocommittenza indica che la partita Iva è falsa, che maschera un lavoro da dipendente. “Su questo punto la riforma Fornero, a dispetto delle intenzioni, non ha avuto effetti”, commenta Ricciardi. La norma, in vigore da luglio 2012, fissa tre criteri per distinguere veri e finti autonomi: una postazione di lavoro fissa in azienda, più dell’80% del reddito da un solo cliente, e 8 mesi o più di collaborazione nel corso dell’anno. Bastano due di queste condizioni per presupporre il rapporto come un co. co. co, una collaborazione continuativa. “Ma l’unica soluzione sarebbe fare più controlli e più seri, incrociando le banche dati”, conclude Ricciardi. Una recente circolare del ministero, indica agli ispettori del lavoro di operare in questa direzione. Ma fissa l’avvio delle prime verifiche solo a giugno del 2014.


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