LABORATORIO POLITICO

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Pur avendo visto saltare tutti i binari, nonostante non si capisca bene da dove iniziare a ricostruirli, è come se finalmente potessimo tornare a discutere cosa fare e con chi, quale governo serve al paese e perché. Gli elettori hanno parlato chiaro, hanno indicato la rotta del cambiamento. Grande è il disordine sotto il cielo, e la situazione diventa interessante. Sta al Pd e al Movimento 5 stelle dimostrare di essere all’altezza del compito.
Il partito non partito vincitore delle elezioni ha rovesciato il tavolo della vecchia politica ma adesso deve misurarsi, se ne è capace, con la nuova stagione che dice di interpretare. La sbornia degli otto milioni di voti, pescati a destra e a sinistra, tra l’imprenditore veneto e l’antiTav di Susa, può dare alla testa proprio quando è arrivato il momento in cui bisogna essere lucidi, concreti, efficaci. La campagna elettorale è finita, quasi duecento parlamentari grillini stanno per entrare nel complicato mondo della democrazia rappresentativa, nel luogo dove si fanno le leggi, dove si vota per dare (o negare) la fiducia ai governi.
Grillo non potrà  in eterno urlare contro Bersani, lo spettacolo elettorale è finito anche per lui e replicare lo stesso copione con la battuta del giorno lo fa somigliare a certi politicanti (di ieri quella di lasciare Monti al governo). Ma soprattutto è finito per gli eletti del Movimento che vorrebbero essere utili al paese e entrare nel merito delle proposte, per rendere possibili le proprie e giudicare quelle degli altri nel confronto delle aule parlamentari. Rispettare la Costituzione significa anche questo.
Sull’altra sponda è di scena il vincitore sconfitto. Sarà  già  un buon inizio se il segretario del Pd (e siamo al secondo punto), sarà  capace di offrire un programma all’altezza del verdetto popolare. Con l’obiettivo di stanare i rivoluzionari a 5 stelle chiedendo la fiducia per un governo di sinistra, capace di parlare al paese, di assumere con convinzione le indicazioni degli elettori, senza più dubbi sull’impraticabilità  di un centrismo montiano. È il minimo che la maggioranza degli elettori di centrosinistra si aspetta dal vincitore sconfitto.
Farebbero bene a scendere dalla luna i montiani del Pd e gli ex big del partito che dai giornaloni dettano l’agenda a Bersani offrendo a destra (Berlusconi) e a sinistra (Grillo) le presidenze delle camere, come a prefigurare un preambolo da governissimo. Magari con le migliori intenzioni: offrire una via d’uscita all’impasse che gioca a favore di un rapido ritorno al voto. O, con le peggiori: predisporre le condizioni per un “governo del presidente” con Napolitano di nuovo artefice di qualche soluzione istituzionale che finirebbe per giubilare il già  tramortito Bersani (a sospettare a volte s’indovina). Anche perché si ha tutta l’impressione che di fronte a riedizioni di ammucchiate tecnico-presidenziali il Pd si dividerebbe nei mille pezzi che lo compongono fino a schiantarsi definitivamente.
Un governo Pd-5 stelle adeguerebbe le forme e i contenuti della politica al responso delle urne e manterrebbe al paese la fama di laboratorio politico. Non più sotto il segno del populismo berlusconiano, o sotto il tallone del governo tecnico, responsabile di aver regalato al paese uno stress democratico al limite del caos istituzionale. Ma con la forza e l’impronta dell’inedito connubio tra la democrazia diretta rappresentata dalla cittadinanza attiva dei grillini e la giovane classe dirigente del centrosinistra uscita dalle primarie.


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