L’effimera speranza sbocciata nel 1963
C’erano gli anni Venti di Moravia, gli anni Trenta degli «ermetici», gli anni Quaranta di Pasolini (che in quel groviglio irrisolto e irrisolvibile di questioni nostre, tra fascismo, guerra civile, tramonto della civiltà contadina e utopia comunista, è rimasto bloccato fino alla fine dei suoi giorni: questa è la sua grandezza e il suo limite). C’erano gli anni Cinquanta del neorealismo e di Cassola e Bassani. C’erano Togliatti e «Rinascita» e la pretesa, si è visto poi quanto fondata, di usare la cultura come «piffero per la rivoluzione».
In quel paesaggio tra surreale e naà¯f il Gruppo 63 rappresentava una speranza di rinnovamento, nel solco di una tradizione che non fosse soltanto quella, del nostro Novecento. Una speranza che poi è stata spazzata via dalla follia degli «anni di piombo» e non è stata sostituita da nulla: come si vede, purtroppo, nel presente. La «mercificazione», orrore supremo di quegli anni, oggi è l’unica stella polare di un’arte e di una letteratura che nascono dal brodo primordiale degli estetismi e dei vitalismi. È andata così e non ci possiamo fare nulla, ma rendiamo omaggio al Gruppo 63. Quel poco che si poteva fare, ha tentato di farlo.
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