L’INGORGO DELLE SCELTE

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Eccola qui, in questa norma paradossale e assurda, la fotografia dello stallo in cui ci siamo ficcati. Ma il paradosso investe pure il capostazione, non soltanto noi viaggiatori immobili. Perché è a lui, Giorgio Napolitano, che tocca dirimere l’ingorgo; e perché il Quirinale è a sua volta intrappolato in un ingorgo, dato che a metà  aprile le Camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente. Qualora viceversa il nuovo coincidesse con il vecchio, tireremmo un respiro di sollievo; ma difficilmente il Parlamento ci farà  questo regalo.
Da qui, allora, una domanda: e se fosse il successore di Napolitano a cresimare il premier battezzato dal suo predecessore? Situazione inedita, ma niente affatto impossibile. Per metterla a fuoco, osserviamo l’orologio della crisi: 12 o 15 marzo, prima convocazione delle Camere. A quel punto bisognerà  eleggerne i rispettivi presidenti, e non sarà  una passeggiata; poi costituzione dei gruppi, delle commissioni, delle giunte. Diciamo che la settimana dopo, a essere ottimisti, sul Colle può iniziare il valzer delle consultazioni. Quali? Quante?
A occhio e croce, c’è da aspettarsi un triplo giro. Prima quelle di Napolitano coi partiti, e con le personalità  di cui reputerà  utile il consiglio. Ma se i partiti gli dipingeranno un quadro politico ostaggio dei veti incrociati (probabile, se non proprio sicuro), al presidente non resterà  che conferire un mandato esplorativo, per favorire la decantazione della crisi. D’altronde Napolitano ne ha già  fatto uso: nel gennaio 2008, quando si rivolse a Marini, all’epoca presidente del Senato. Dunque nuove consultazioni dell’esploratore, questa volta ristrette all’essenziale. Poniamo che riesca il gioco di prestigio, che un coniglio sbuchi fuori dal cilindro: c’è un personaggio che ha buone chance d’ottenere la fiducia, sicché riceve l’incarico di formare il gabinetto. Lui si riserva d’accettare, perché così vuole la prassi; e intanto verifica i numeri con un altro giro di consultazioni. E tre. Dopo di che torna al Quirinale per sciogliere la riserva, decidere i ministri, prestare giuramento; ma salendo le scale del palazzo, può capitargli di venire accolto da un nuovo padrone di casa. Come una fanciulla promessa in matrimonio, la quale — giunta ai piedi dell’altare — scopra che lo sposo è un altro uomo rispetto al fidanzato.
Disse una volta Bobbio: «La nostra storia costituzionale si è svolta attraverso un continuo alternarsi di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi)». Lui si riferiva alla Prima Repubblica, segnata da 50 crisi di governo in cinquant’anni; ma quella diagnosi può forse valere anche per la Terza, di cui scorgiamo nel frattempo un’alba livida, spettrale. Dove i fantasmi s’inseguono l’un l’altro senza mai riuscire ad acciuffarsi: il Pdl stringerebbe un accordo col Pd, che invece lo stringerebbe con il M5S, che invece si divincola. Da qui l’oroscopo sulla durata della crisi: toccammo il record nel 1996, dopo la caduta del governo Dini (125 giorni), e magari stavolta lo supereremo. Ma da qui, inoltre, il rischio d’uno slalom del nuovo premier fra due capi dello Stato.
Diciamolo da subito: non sarebbe una tragedia. Perché le istituzioni sono abitate da persone, però al contempo sono anonime, spersonalizzate. Le persone passano, le istituzioni restano. E perché Napolitano, quando conferirà  un mandato, non potrà  certo scegliere in base alle proprie simpatie. No, dovrà  indicare chi sia in grado di coagulare attorno a sé una maggioranza; e tale qualità  dipende dal mandatario, non dal mandante. Semmai il paradosso deriva da una regola del galateo istituzionale, fin qui sempre rispettata (l’unica eccezione risale al 1849). Quella che impone all’esecutivo di dimettersi dopo il giuramento del capo dello Stato, che a sua volta respinge poi le dimissioni. Sicché il nuovo governo dovrà  bussare comunque alla porta del nuovo presidente, dovrà  ottenerne la benedizione; e sia pure a costo di spegnersi e riaccendersi come un fiammifero. Ma il problema è tutto lì: trovare un cerino, e dargli fuoco.


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