«Israeliani, guardate con occhi palestinesi»

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GERUSALEMME — «Mettetevi nei loro panni, guardate il mondo coi loro occhi. Oggi a Ramallah ho incontrato ragazzi palestinesi che sono come voi: stessi desideri, stessi sogni. Non è giusto negargli il diritto di avere un loro Stato, né farli crescere con la presenza costante di un esercito straniero che controlla i loro genitori. Non è giusto impedire ai contadini di curare la loro terra, costringere molti a lasciare la loro casa, impedire ai giovani di muoversi liberamente in Cisgiordania, lasciare impunite le violenze di alcuni coloni». Nella giornata «clou» della sua visita in Israele e nei Territori palestinesi, ieri Barack Obama ha vissuto una giornata di straordinaria intensità , culminata nel discorso pronunciato davanti a una platea di giovani ebrei che ha invitato ad agire, a far sentire la loro voce per costringere i politici a uscire dallo stallo nel quale è finito il dialogo tra i due popoli.
Il presidente ha parlato con una franchezza — e in qualche passaggio una durezza — mai sperimentate da una platea israeliana in un’occasione così solenne. Eppure Obama è stato applaudito con calore perché nel suo discorso, attentamente calibrato, ha ribadito il sostegno assoluto e incondizionato per la sicurezza di Israele, anche e soprattutto sulla questione del nucleare iraniano («Non avranno mai la bomba e noi sosteniamo la protezione antimissile dai possibili attacchi col sistema “Iron Dome”»). Ha, poi, reso omaggio a un Paese con una storia millenaria di lotta per la libertà  e di martirio; una nazione che può essere «motore di prosperità  per tutto il mondo». E’ arrivato ad abbracciare l’idea base del sionismo: il popolo libero che vuole vivere in una sua patria, la «Terra promessa» che diventa rifugio dalla diaspora.
La libertà  va, però, curata, soprattutto nel Medio Oriente delle tensioni esplosive, ora accentuate anche dall’ayatollah Ali Khamenei che minaccia di distruggere Tel Aviv e Haifa se verranno colpiti gli impianti nucleari iraniani. «Spetta a voi decidere come restare sicuri e democratici» ha detto Obama. «Per me, alleato che sarà  comunque al vostro fianco, sarebbe più facile non intervenire, evitare discorsi che a molti non piacciono. Ma io vi parlo con la confidenza di un amico: la pace è l’unico modo per garantirvi davvero la sicurezza. E la pace va negoziata. Decidete voi come. So che è difficile e frustrante, che molti tentativi hanno avuto esiti negativi».
Ma Israele, ha incalzato Obama, è il Paese più potente dell’area: «Dovete avere la saggezza di capire il mondo com’è, ma anche il coraggio di vederlo come dovrebbe essere». Di coraggio il presidente americano ieri ne ha usato molto: prima è andato a Ramallah, a incontrare il presidente palestinese Abu Mazen. Una visita difficile con la contestazione di alcuni dissidenti palestinesi e quelli radicali di Gaza che hanno ricominciato a lanciare razzi contro il territorio israeliano. Obama non ha concesso nulla ad Abu Mazen, chiedendogli di riprendere il dialogo con Israele senza condizioni, pur riconoscendo che lo sviluppo di nuovi insediamenti dei coloni ebraici in Cisgiordania è un grosso ostacolo alla pace.
Poi, però, davanti a una platea tutta ebraica, ha avvertito che, anche se Israele ha buone ragioni per essere diffidente, commetterebbe un errore se non sfruttasse lo spiraglio che si è aperto con Abu Mazen e il premier palestinese Fayyad. Sulla cui buona fede Obama scommette senza riserve. Certo, anche se coraggioso e nobile, quello del presidente Usa è pur sempre un discorso dietro il quale non si vede un piano. Lo stesso Obama ha ammesso che la situazione è assai complicata: ma, scavalcando il premier Netanyahu, ha invitato i giovani d’Israele a far sentire la loro voce spingendo il governo sulla via delle concessioni e del negoziato. «Ve lo dico da politico», ha scandito: «Noi non facciamo scelte difficili, non prendiamo decisioni impopolari se non veniamo spinti dalla gente».
E, per convincere una platea che si è spellata le mani sulla creazione dei due Stati indipendenti, ma è stata molto più tiepida sui riconoscimenti al popolo palestinese, Obama ha usato le parole del «falco» Sharon: Israele può avere molto, ma se pretende troppo rischia di perdere tutto. L’avvertimento di un amico, non della superpotenza che impone la trattativa. Obama, leader di un’America che presto sarà  indipendente dalle forniture energetiche del Medio Oriente, si affida ai popoli e ai giovani. Con parole ispirate quasi quanto quelle del Cairo, 4 anni fa, ma un atteggiamento più disincantato.


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