Materie prime ed esportazioni Xi alla conquista dell’Africa per superare l’economia Usa

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PECHINO — «Vediamo lo sviluppo degli altri come una nostra opportunità  e lo promuoviamo su un piano di uguaglianza tra Paesi, indipendente rispetto a dimensione, forza o ricchezza». Xi Jinping atterra in Tanzania e invia un messaggio diretto alle nazioni in crescita e al resto del mondo: la Cina punta sull’Africa per superare l’economia Usa entro il 2016, assicurandosi le materie prime e le esportazioni per accelerare il salto alla guida del secolo. Il neo-leader di Pechino, a dieci giorni dalla presa del potere, è impegnato nel primo viaggio-simbolo dell’era che ha chiamato del «sogno cinese». In patria aveva scelto una missione a Shenzhen, sulle orme di Deng Xiaoping. Per presentarsi all’estero ha optato invece per la Russia di Putin, per le potenze emergenti dell’Africa e per il vertice dei Brics a Durban, il primo ospitato nel «continente del futuro». A Mosca si è parlato di energia e di armi, ma soprattutto del nuovo patto politico tra i Grandi usciti sconfitti dalla Guerra Fredda, in opposizione all’alleanza Usa-Giappone nel Pacifico. Qui, per quattro giorni tra Sudafrica e Congo Brazaville, Pechino è decisa invece a lanciare «un nuovo ordine globale dello sviluppo », assumendo la guida del «pianeta con il segno più».
Per Xi Jinping è un viaggio fondamentale, schiaffo al tramonto di Stati Uniti ed Europa, esclusi dall’agenda delle priorità . «Ogni volta che vengo in Africa — ha detto Xi a Dar Es Salaam — mi colpisce il continuo progresso. La Cina rafforzerà  i rapporti commerciali, opponendosi alla prepotenza dei grandi sui piccoli e dei più ricchi sui più deboli». E’ il discorso del nuovo amministratore delegato dell’ex Terzo Mondo, considerato il «prossimo asse dello sviluppo globale» e il continente da cui Pechino può «cominciare ad espandere il proprio modello economico e culturale». Nel 2000 l’interscambio Cina-Africa era di 6 miliardi di dollari. Nel 2012 ha superato i 200 e il Dragone si è impegnato prestarne 20 fino al 2015. In un decennio Pechino ha concesso 67 miliardi di crediti all’Africa subsahariana, rispetto ai 55 erogati
dalla Banca Mondiale. Lo scorso anno gli investimenti diretti cinesi in Africa hanno toccato quota 16 miliardi, trasformando il continente nella grande miniera della seconda economia mondiale. La Cina importa da qui il 30% del suo petrolio, più le materie prime necessarie alla crescita dei propri colossi multinazionali. Nel 2012 le importazioni, cresciute di venti volte in un decennio, sono arrivate a 113 miliardi di dollari. In cambio Pechino costruisce strade e ferrovie, porti e aeroporti, città  e distretti industriali, fino a pianificare sette «zone economiche speciali », dall’Algeria alle Mauritius.
Archiviata la fase dei conglomerati rossi: le piccole e medie imprese cinesi emigrate in Africa, da 800 nel 2006, sono esplose ufficialmente a 11 mila e gli analisti parlano di decine di migliaia. Dopo l’abbraccio euro-asiatico tra Russia e Cina, ecco dunque il ponte afro-cinese, lanciato oggi a Johannesburg dal vertice tra Jacob Zuma e Xi Jinping. L’Occidente è povero di risorse, consuma sempre meno ed è vecchio. Asia e Africa scoppiano di materie prime, hanno i Pil in crescita e sono il serbatoio dell’umanità  giovane. Per i media di Stato, il primo tour del leader comunista è dunque «l’icona di una nuova era» e segna «il passaggio del testimone dello sviluppo dall’Ovest all’Est». Valore moltiplicato dal vertice con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica che rappresentano il 43% della popolazione mondiale, il 69% della crescita e il 17% del commercio. Obbiettivo del summit «anti-G20» è dare vita ad un proprio fondo comune e ad un nuovo istituto bancario internazionale (50 miliardi di dollari di capitale iniziale), alternativo a Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale, considerati «strumenti sorpassati delle superpotenze occidentali sebbene a spese delle nazioni emergenti». Il primo passo, per Pechino, verso una rivoluzione monetaria, la piena convertibilità  dello yuan e la sua trasformazione in nuova valuta di riserva.
La pre-condizione, per il Quotidiano del Popolo è però «guidare il cartello delle economie pronte ad esplodere». «L’Africa appartiene agli africani — ha detto Xi Jinping — e agiremo affinché tutti i Paesi ne rispettino dignità  e indipendenza ». Non solo un monito alle ex potenze coloniali europee e agli Usa. La Cina vede crescere l’accusa di «neo-colonialismo predatorio », di teorizzare la «non ingerenza » per giustificare il sostegno a regimi spietati, di esportare modelli di lavoro «simili alla schiavitù». Famosa la definizione di Hillary Clinton nel 2011: «Neo-colonialismo strisciante». Si sono aggiunti scandali e rivolte contro «l’invasione gialla», come in Zambia, con i manager cinesi imputati per aver sparato sui minatori sfruttati nelle cave del rame, o come la requisitoria della Nigeria contro «una Cina che si prende le materie prime per rivenderci sottoprodotti finiti». Xi in Tanzania si è difeso ripetendo che quella di Pechino è «una strategia win-win», di mutuo vantaggio perché «lo sviluppo cinese arricchisce gli africani, abbassando i rischi di instabilità  sociale e di espansione del terrorismo islamico ».
Il “sogno cinese” del nuovo leader, che ha rinviato il primo faccia a faccia con Obama all’autunno, è così «sfilare l’Africa all’Occidente» per costruire il «nuovo ordine mondiale» fondato sulla Cina. Decisiva l’immagine, a partire da quella di Peng Liyuan, prima first lady di Pechino dalla morte della moglie di Mao. Il suo esordio a Mosca, con abiti e accessori d’alta moda, ha fatto impazzire sia i cinesi che i media stranieri, che l’hanno ribattezzata la “Raissa Gorbaciova” dell’Asia. Altro colpo al soft-power della Casa Bianca, mentre a Durban tutti aspettano «la neo-donna più potente del mondo», prima cinese della storia a prendere la parola (a favore della lotta all’Aids) in occasione di un vertice internazionale. La conferma che in Africa il futuro è già  cominciato.


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