Non c’è medico, morti in motovedetta

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AGRIGENTO — Se li sono visti morire a dieci minuti da Lampedusa, impietriti dal freddo, due ghiaccioli, stecchiti dall’acqua gelida, confusi fra altri 88 migranti stremati su due motovedette della capitaneria di porto di Lampedusa. Due ragazzoni di 25 anni ormai a un passo dalla realizzazione del sogno maturato con la traversata della speranza, sul solito natante in cui si rischia tutto pur di lasciare la costa nordafricana e afferrare una vita nuova.
Ultima drammatica posta di una Via Crucis intercettata a 90 miglia dall’isola, nel cuore del Mediterraneo, dove venerdì pomeriggio la nave Cassiopea della Marina militare aveva individuato l’ennesimo gommone in avaria, un canotto floscio, dieci metri di lunghezza, due di larghezza, troppo poco per quei novanta disperati con i vestiti inzuppati e i piedi a mollo dopo due giorni e due notti di terrore.
Alla fine di un’acrobatica e, in un primo tempo, fortunata operazione di salvataggio, alle 3 e mezzo di sabato l’attracco della prima motovedetta alla banchina Favarolo di Lampedusa. Con i medici del Poliambulatorio guidati da Pietro Bartolo schierati per accoglierli, felici di aver strappato alla morte almeno 10 naufraghi anche loro in ipotermia, ma intristiti davanti a quei due corpi senza vita.
Un altro dramma per l’isola che in pochi giorni ha visto arrivare 800 migranti, 500 negli ultimi due, il Centro accoglienza già  stipato perché gli 800 posti di un tempo sono stati ridotti a 300, pochi per le 360 persone ospitate fino a ieri sera. Numeri e lutti che si fanno beffa del decreto emesso dal ministero dell’Interno il primo marzo per dichiarare «la fine dell’emergenza» a Lampedusa. Un astratto auspicio preceduto l’anno scorso dalla cancellazione della convenzione con il Cisom, il «Corpo internazionale di soccorso ordine di Malta» che assicurava la presenza di due medici e due infermieri a bordo delle motovedette di Guardia costiera, Finanza e carabinieri.
E bisognerà  interrogarsi sulla dinamica di un salvataggio che lascia grande amarezza in tutti. Anche nel comandante della Cassiopea che con la sua fiancata alta come una montagna giovedì s’è accostato a quel gommone con la prua affondata per evitare che le onde lo travolgessero. Ore d’ansia finché le due motovedette hanno provveduto al trasbordo tra onde alte tre metri. Un successo, alla fine. Ma i 90 naufraghi, stipati all’aperto fra le attrezzature di bordo, sono rimasti con jeans e maglioni inzuppati per altre sette ore di navigazione prima di raggiungere Lampedusa. Con schizzi d’acqua gelata che continuavano a schiaffeggiare corpi sfiancati e intirizziti.
«I più deboli non ce l’hanno fatta, anche perché a bordo non c’era un medico…», sussurra il dottor Bartolo dopo l’ispezione. Con rabbia: «Non ne possiamo più di seppellire migranti». La stessa del sindaco Giusi Nicolini. La stessa che rimbalza da Roma dove Mauro Casinghini, il direttore dell’Ordine di Malta, rimprovera il mancato rinnovo della convenzione: «È scaduta a dicembre 2011. Siamo rimasti gratis in servizio fino al marzo 2012 e da allora aspettiamo. Ovvio che ci si trovi spesso davanti a soluzioni sanitarie che non possono essere delegate al comandante di una unità  navale. Occorre un medico che si imponga anche sulle scelte da fare. Come quella di soccorrere e rifocillare prima i migranti a bordo della nave intervenuta per poi riprendere la corsa verso Lampedusa». Anche questa materia di analisi per la Procura di Agrigento che ha aperto un’inchiesta sul caso e sui trafficanti. Per omicidio. Visto che si piazzano altre due croci al cimitero di Lampedusa.
Felice Cavallaro


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