Ora la partita vera è per il Quirinale

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ROMA — È iniziata la campagna elettorale. Ma non per le nuove consultazioni politiche, non ancora, bensì per la presidenza della Repubblica, l’unico appuntamento che conti in questa legislatura nata già  moribonda. Fallita nelle urne la sfida per il governo del Paese, centrosinistra e centrodestra stanno già  preparandosi alla battaglia decisiva per il Colle. Ed è un fatto che Prodi sia formalmente ai blocchi di partenza, nonostante abbia smentito a più riprese. Di più. Come sostiene l’ex ministro Parisi — che fu braccio destro del Professore ai tempi di Palazzo Chigi — il fondatore dell’Ulivo «oggi è il candidato più accreditato per il Quirinale. Certo, il fixing cambia di giorno in giorno, ma al momento Romano ha le maggiori chance di essere eletto», anche perché nel caos di questa fase «lui è l’unico che ha avuto e ha tuttora un progetto».
Analizzando l’attuale scenario, Parisi tiene da conto anche le tensioni provocate dal conflitto tra politica e magistratura, e contesta la tesi che l’avvento del Professore al Colle possa essere vissuto dal Pdl come un «atto provocatorio e divisivo». Eppure è questa la reazione nell’area berlusconiana solo a sentir nominare lo storico rivale del Cavaliere. L’idea nel centrodestra è che al Colle debba sedere una personalità  che ponga fine all’«accanimento giudiziario» contro il loro leader, e Prodi non viene vissuto come l’uomo adatto. «E se andasse diversamente?», obietta Parisi, che si rifugia in una citazione storica: «De Gaulle fu l’unico che riuscì a fermare i militari». Il riferimento è al ’58, alla caduta della Quarta Repubblica francese, quando l’allora generale evitò il putsch dei militari, e dopo esser giunto all’Eliseo li fece rientrare nei ranghi. È voluta l’analogia. Ed è concisa la chiosa di Parisi: «Magari Prodi…».
Non c’è dubbio che il cortocircuito tra politica e giustizia sia uno dei temi subliminali della campagna elettorale per il Colle. E c’è un motivo se anche D’Alema è della partita. Non è la citazione dell’inciucio fatta davanti alla direzione del Pd ad averlo inserito tra i partecipanti alla sfida, semmai è un ragionamento svolto un mese fa alla presentazione del proprio libro che ha colpito il Cavaliere. E una frase, che il capo del Pdl ha sottolineato con matita rossa e blu. Criticando i giudici di Palermo per il ritardo nella distruzione delle intercettazioni di Napolitano, D’Alema aveva prima spiegato che «simili comportamenti da parte della magistratura sono il risultato dell’aggressione berlusconiana di questi anni», per poi condannare gli «arroccamenti antistorici delle toghe»: «E chi governerà  il Paese dovrà  rimettere a posto queste cose»…
Sia chiaro, non c’è via d’uscita politica ai guai giudiziari di Berlusconi. Anche la storia delle pressioni per ottenere la grazia non regge, perché quell’istituto può valere per quanti sono stati condannati in via definitiva. Nel frattempo però il Cavaliere sarebbe spazzato via, e con lui il suo partito. Perciò, per quante manifestazioni possano organizzare i dirigenti del Pdl, è impossibile salvare il «soldato Silvio». Ne ha contezza anche lui. Semmai l’aventino politico che viene minacciato dal centrodestra serve per far saltare il timing impostato dal Pd, che vorrebbe prima affrontare il tema delle presidenze delle Camere, poi quello del governo, e infine il rebus del Colle.
Alfano ha rispedito al mittente la proposta dei democratici: «Sarebbe anche valida l’idea di procedere seguendo il modello europeo, cioè assegnando gli incarichi parlamentari in base ai gruppi e non in base alla logica maggioranza-opposizione. Ma per noi o si discute subito di Quirinale oppure non se ne fa nulla». In tal caso il disimpegno sembrerebbe già  estendersi anche a un ipotetico «governo del presidente», per puntare alle urne entro giugno. Il Pdl non vuole arrivare all’autunno, per non farsi logorare, ed è convinto che i tempi per arrivare alle elezioni ci sarebbero, come ammette anche un dirigente del Pd: «Dopo aver sperimentato il voto in pieno inverno, potremmo sperimentare il voto in piena estate».
Ecco spiegato il motivo per cui i vertici istituzionali stanno costruendo delle «reti di protezione» per la legislatura: qualora tutti i tentativi di formare un governo non dovessero aver successo, ci sarebbe la possibilità  di mandare il governo Monti alle Camere per affidarlo a un voto del nuovo Parlamento. E il premier, bloccato a Palazzo Chigi, vedrebbe così sfumare l’aspirazione di diventare presidente del Senato, dovendo traghettare le Camere verso nuove elezioni. Dettagli, mentre si prepara il tavolo del risiko per il Quirinale.
Francesco Verderami


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