Pechino tra stabilità  e voglia di consumi

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PECHINO. Tra numeri che indicano crescita, inflazione, pil, indice manifatturiero, spese militari e spese per la sicurezza, l’attuale riunione del parlamento cinese sembrerebbe confermare l’importanza di un’espressione che ha contrassegnato il regno di Hu Jintao e Wen Jiabao, presidente e premier uscenti del paese: weichi wending, solitamente abbreviata in weiwen, ovvero «il mantenimento della stabilità »: un mantra che sembra unire economia, dettami politici e soprattutto la sopravvivenza della supremazia del Partito Comunista, alle prese con la necessità  di modificare il proprio modello economico, mantenendo saldo il controllo di un panorama sociale che rischia di «scoppiare» da un momento all’altro.
Oltre alle riforme, infatti, a Xi Jinping viene chiesta soprattutto una cosa: assicurare la stabilità  sociale, fare in modo che il paese non trascenda da proteste che vanno controllate. Anche per questo, per il terzo anno consecutivo la spesa per la sicurezza interna (128 miliardi di dollari) supera quella militare (114 miliardi di dollari), che pure aumenta del 10,7 per cento date le delicate circostanze del ribollente mar cinese meridionale.
Il consumo interno
Nel suo ultimo discorso all’Assemblea Nazionale da premier uscente, Wen Jiabao ha mantenuto i consueti toni da «nonno», come viene soprannominato in Cina: dispensare tanti buoni consigli, riempire i cuori di speranze, delineare le difficoltà  insite al percorso intrapreso. Nel mezzo della retorica sonnacchiosa e melensa del premier uscente, sparito dalla circolazione dall’uscita dell’articolo del New York Times che metteva in evidenza il suo impero economico famigliare, sono da segnalare principalmente la prevista crescita del 7,5 percento e l’attenzione suprema allo sviluppo del consumo interno. Aumentare la disponibilità  economica dei cittadini cinesi, però, richiede un’altra serie di misure: intanto consentire ai lavoratori migranti di aumentare il proprio tenore di vita, a cominciare dallo sviluppo reale ed effettivo dei progetti di edilizia popolare, migliorare le loro condizioni di «cittadini» attraverso la riforma del vetusto sistema dell’hukou, il permesso di residenza che attribuisce diversi diritti ai cittadini e a chi arriva dalle campagne, consentire agli abitanti urbani, oltre il 50 percento della popolazione nazionale, di vivere in luoghi migliori senza l’inquinamento infernale – «lo stato dell’ambiente influisce sul livello di benessere della gente, dei posteri e sul futuro della nostra nazione», ha detto Wen. Una situazione peggiorata negli ultimi tempi e dovuta a caratteristiche richieste dallo sviluppo veloce del paese e al malfunzionamento delle grandi aziende statali, restie a uniformarsi a standard di qualità  internazionali.
Si tratta di una cascata di eventi che dovrebbe sancire il momento delle tanto decantate riforme in una direzione, almeno a livello comunicativo, precisa: il benessere dei cittadini cinesi. Del resto la crisi che prosegue a infestare i mercati internazionali porta la Cina a compiere scelte obbligate, come ha sottolineato il premier uscente: «Dobbiamo fermamente adottare l’espansione della domanda interna come nostra strategia di lungo termine per lo sviluppo economico. Per espandere il consumo individuale, dobbiamo migliorare la capacità  delle persone di acquistare, mantenere le loro aspettative di consumo stabile, aumentare il loro desiderio di comprare, migliorare il loro ambiente e rendere la crescita economica maggiormente guidata dai consumi».
Benessere e sicurezza
Da un punto di vista politico le scelte economiche e finanziarie si riverberano in un imperativo molto chiaro: il governo vuole spingere il suo popolo a consumare, godersi la vita, la ricchezza, eliminare il gap tra ricchi e poveri, affinché il paese possa «tenere». E’ questo l’obiettivo numero uno del Partito Comunista: rinnovare il patto tacito che avvenne tra Deng Xiaoping, il Partito, e il popolo. Quando Deng disse «arricchirsi è glorioso», significava dire alla sua popolazione, «voi arricchitevi, al resto ci pensiamo noi». Un deal silenzioso che ha tenuto fino ad oggi, anche grazie a dimostrazioni di forza come quella del 1989.
Il problema per la Cina contemporanea e per il Partito è che ormai ad arricchirsi sono sempre gli stessi: la richiesta di puntare al consumo interno permette quindi al governo da un lato di modificare il suo modello economico data la congiuntura internazionale che non favorisce più il modello per l’esportazione, dall’altro spinge le istanze politiche a diminuire la possibilità  che la tensione sociale dovuta alle diseguaglianze ritorni a fare della Cina un paese segnato dal caos e dalla violenza sociale.
Secondo stime informali infatti, sarebbero oltre 180mila all’anno quelli che in Cina vengono definiti gli «incidenti di massa», proteste, scioperi, rivolte. E mentre i politici cinesi discutono, a poche centinaia di chilometri da Wukan, un altro villaggio è insorto – circondato dalla polizia – contro i funzionari locali accusati di aver compiuto l’ennesima vendita illegale di terreni.
E’ un gatto che non solo rischia di perdere di vista il topo, ma che più di tutto si morde la coda: consumo interno, appiattimento di tensioni sociali, controllo del Partito, tutto è collegato. Non è un caso infatti se l’annuncio dell’aumento del 10,7 percento delle spese militari cinesi, giustificate da Fu Ying, la lady di ferro di Pechino e prima donna portavoce dell’Assemblea, con la difficile situazione internazionale nel mar meridionale e orientale cinese, per la terza volta di fila è secondo alle spese per la sicurezza interna. Significa che l’ossessione per il weiwen, «il mantenimento della stabilità » è ancora al primo posto dell’ordine del giorno del Partito Comunista. La conferma che le mire di quello che era considerato lo zar della sicurezza Zhou Yongkang, dato più volte come alleato di Bo Xilai, sono tuttora valide e determineranno ancora il futuro del paese, compresa una sacca di potere politico ed economico che i leader di Pechino continueranno a spartirsi tra di loro.


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