Quei «supervirus» che ci minacciano più del terrorismo

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Se non fosse che a mettere sull’avviso Downing Street è la professoressa Dame Sally Davies, verrebbe quasi da dubitare di una sparata del genere. Improvvisa e inaspettata. Ma Dame Sally Davies non è di certo persona che quando parla può passare inosservata. Oltre a un carriera accademica di prestigio e oltre alla direzione generale della ricerca presso il ministero della Sanità , questa specialista in malattie del sangue è da qualche tempo Chief Medical Officer, ovvero la prima autorità  della scienza medica in Inghilterra e affianca il governo nella determinazione delle politiche sulla salute dei cittadini. La Bbc la classifica fra le sei donne più importanti del Regno Unito. Dunque, se Dame Sally Davies sostiene che i batteri hanno la forza di sconfiggere i loro «nemici» e che se non si «passa all’azione immediatamente» la prospettiva assai ben poco incoraggiante è quella «di tornare indietro di due secoli», con milioni di individui uccisi dalle infezioni, occorre prendere molto sul serio la denuncia che fa nel rapporto annuale.
Di sicuro non si tratta di un’uscita estemporanea. Se il Chief Medical Officer dell’Inghilterra invita Downing Street a «inserire la resistenza agli antibiotici» nell’agenda del G8, programmato a Londra per aprile, è perché i dati accumulati nei laboratori indicano un trend per niente allegro. Negli ospedali la casistica dei pazienti ormai insensibili agli antibatterici è diventata troppo consistente per passarci sopra. La minaccia va classificata «al pari del terrorismo». Il guaio è che «non abbiamo nuove tipologie di antibiotici da almeno una trentina d’anni, dall’inizio degli anni Ottanta, e le grandi company non hanno in cantiere ricerche e prodotti utili al caso». L’atto d’accusa di Dame Sally Davies è chiaro: «Non sono farmaci che regalano profitti per cui le multinazionali sono ferme». La ricerca si indirizza verso quei prodotti per i quali si prospetta, come nel trattamento «dell’alta pressione e del diabete, un utilizzo prolungato nel tempo». Laddove, invece, il medicinale è una «trincea» di breve durata, la ricerca è congelata. Si assume un antibiotico per pochi giorni per cui le aziende lo ritengono di scarsa «profittabilità ». Il risultato è che, andando avanti di questo passo, fra 20 anni «non saremo più in grado di curare le infezioni, non saremo più in grado di curare alcuni tumori e di eseguire alcuni trapianti».
Il mercato non rende, le società  non investono. Un cortocircuito. Un fallimento da avidità  di utili. Ecco, allora, l’urgenza che sia Londra a portare subito la questione al vertice degli otto «grandi», il G8, e davanti alle istituzioni europee in modo che si finanzino quegli organismi e quelle istituzioni il cui scopo «è promuovere lo sviluppo delle medicine». Per il Chief Medical Officer non c’è alternativa: se si mobilitano tante risorse contro il terrorismo, è necessario mobilitarne altrettante per la salute e per la cura delle infezioni. «Altrimenti ci ritroveremo nell’Ottocento».
Fabio Cavalera


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