Scelte nell’urna e laburismo senza operai

by Sergio Segio | 12 Marzo 2013 11:12

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Successo di Grillo a parte si può obiettare che non è la prima volta che il voto degli operai premia il centro-destra. Esiste un’ampia letteratura sull’abbinata tessera Fiom/scheda Lega e nelle tornate precedenti ogni qual volta Silvio Berlusconi ha prevalso nel risultato finale ha sempre ottenuto buonissime performance anche nelle fabbriche. In questo caso, però, la sorpresa è più viva perché il Pdl ha complessivamente perso una valanga di voti rispetto al 2008 e la coalizione Bersani si è caratterizzata nella campagna 2013 con un posizionamento di tipo laburista. La copertina del settimanale Left — che esce allegato all’Unità  â€” con le effigi di Bersani, Camusso, Fassina, Orfini e la scritta «ecco chi sono quelli che Monti vuole silenziare», se vogliamo, è un piccolo documento del clima politico e della dialettica che si era creata nel periodo dei comizi.
Il rischio per il Pd è, però, che alla fine si sia rivelato un laburismo senza operai, la proposizione di una cultura politica «forte» scissa dalle dinamiche reali. «Invece di tentare di mettere insieme l’enciclica di Ratzinger e Mario Tronti — commenta lo storico Giuseppe Berta — Fassina avrebbe dovuto fare i conti con la realtà  di tutti i giorni. Non è un caso che Vendola a Taranto abbia preso ben poca cosa. La verità  è che si sta prospettando un centro-sinistra senza referenti sociali, tenuto su da un salvagente ideologico e dalla mobilitazione civile contro Berlusconi».
Eppure qualcuno aveva avvisato per tempo il gruppo dirigente di Bersani. Nel giugno del 2011 era stato proprio il Pd a commissionare alla Swg un’indagine «sulla condizione operaia in Italia», i cui risultati sono stati ben presto chiusi in un cassetto. Cosa diceva la ricerca? Che le tute blu si consideravano politicamente orfane e sindacalmente fredde e, se a quella data il 31% si riconosceva ancora nel centro-sinistra, la maggioranza relativa degli intervistati (il 42%) prendeva le distanze dalla politica in quanto tale e diceva di non sentirsi rappresentato da nessuno. Per dirla in breve, era già  predisposta a incrociare un’offerta di voto antipolitico come quello del Movimento 5 Stelle. Commentava allora Roberto Weber: «C’è il pericolo che questo 42% sia l’anticamera di una vasta area di qualunquismo e un bacino di voti per aree politiche che hanno da condividere ben poco con la classe operaia».
Come è andata a finire adesso lo sappiamo. Sostiene Giuliano Cazzola, ex sindacalista Cgil e candidato nella Lista Monti: «La novità  è forte. L’accoppiata Camusso-Vendola attira i voti degli attori, dei registi, del pubblico impiego e dei ceti intellettuali urbani e invece il voto operaio premia quelli che l’Economist chiama i due clown». Ma la ragione dei consensi a Grillo tra le tute blu, secondo il sociologo Paolo Feltrin, non sta solo nell’ideologismo del Pd bensì nella contestazione delle due riforme Fornero, pensioni e lavoro. «Il messaggio che è arrivato a un capo-famiglia medio è stato: tu andrai in pensione più tardi e tuo figlio resterà  disoccupato più a lungo». E mentre il Cavaliere comunque in campagna elettorale si è smarcato e ha promesso di togliere l’Imu, al Pd è rimasto in mano il cerino della «responsabilità  europea». Che evidentemente in fabbrica non suscita grandi applausi.

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