Una «non chiusura» (condizionata) La mossa di Maroni per tornare decisivo

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Certo, ci si può chiedere come mai il segretario leghista all’indomani dell’incontro con il premier incaricato dica esplicitamente, sia pure rispondendo a una domanda specifica, quello su cui fin qui almanaccavano soltanto gli addetti alla rotta: «Tecnicamente è possibile uscire dall’aula. Già  ieri abbiamo detto a Bersani che a certe condizioni noi faremo la nostra parte. Altrimenti andrà  al Quirinale dicendo che non ha la maggioranza e succederà  quello che deve succedere». Che per un Maroni ossequioso del galateo istituzionale «sarà  deciso dal capo dello Stato». Fermo restando che «a quel punto io penso che la strada migliore da seguire sia quella di nuove elezioni».
Nel faccia a faccia con Bersani, i capi leghisti insieme con quelli pdl, dicono di aver sentito ripetere al premier incaricato tante volte la frase «non posso». Con la sottolineatura del mandato ricevuto dalla direzione nazionale pd. Difficile dire se l’immagine di un Bersani impastoiato dal suo stesso partito corrisponda al vero. Di certo, vari nordisti ieri ripetevano la stessa espressione: «Il Pd ha dato a Bersani il mandato di schiantarsi».
Una novità , tuttavia, la consultazione l’ha portata. Un’apertura, da ieri in corso di valutazione, sul futuro presidente della Repubblica. In sostanza, il premier in pectore avrebbe parlato della necessità  di un capo dello Stato condiviso attraverso una rosa di cinque nomi. Ma ieri, per usare la parole di un alto dirigente, non si era ancora capito «se sarà  il centrosinistra a presentare cinque nomi da cui non dovremmo scegliere, oppure il contrario. Il centrodestra a fornire la rosa e il centrosinistra a scegliere». Ad ogni buon conto, ieri Maroni, a margine del primo consiglio regionale a cui ha partecipato da governatore, spiegava di «non avere in mente alcun nome». In ogni caso la porta non ha ancora sbattuto: «Bersani — ha detto Maroni — non ha detto di no alle nostre proposte. Si è preso 48 ore di tempo e vediamo se, in queste ore, la saggezza gli consentirà  di accettarle». Inoltre, il segretario con gli occhiali rossi ha anche espresso grande apprezzamento sulla proposta di Convenzione per riscrivere la seconda parte della Costituzione, quella sull’ordinamento della Repubblica. Questa è l’acqua in cui la Lega ha sempre nuotato e la ripresa della discussione sui poteri dello Stato offre ai nordisti parecchia tela da tessere.
Resta il fatto che tra i leghisti prevale la sensazione che, alla fine, lo scoglio è proprio Bersani. «Non è affatto detto che dopo di lui il diluvio — chiosava ieri un deputato — anzi: una volta ottenuto il suo sangue, il Pd potrebbe ricordarsi che non muore dalla voglia di tornare alle urne». Va anche detto che le richieste leghiste (come del resto quelle pdl) sembra richiedano parecchio lavoro per poter essere affrontate. Tolta di mezzo, e non è una bazzecola, la questione capo dello Stato ecco nascere non più il governo delle larghe intese, espressione ultra usurata, ma «l’esecutivo della corresponsabilità » tra le forze politiche. Sia pure avviato, magari, da una visita al bar dei senatori con la cravatta verde nel momento del voto di fiducia. Ne parla il vicesegretario nordista, Giacomo Stucchi: «Non sono consentiti i salti nel buio, né le alchimie parlamentari da Prima Repubblica. La soluzione deve essere politica e puntare ad essere di legislatura». La Lega pensa di avere la coscienza a posto: «Noi abbiamo dato la nostra disponibilità  senza pregiudizi né sulla guida del governo, né sulla sua composizione. Ora sta al premier incaricato di uscire dal cul de sac in cui si è messo da solo».


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