Asili nido, congedi e assistenza anziani così il welfare aziendale rende produttivi

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Non è filantropia, ma una “strategia per la competitività ” che può far raddoppiare il valore delle risorse investite. È il risultato cui approda una ricerca della McKinsey per Valore D, l’associazione di grandi imprese italiane creata per sostenere le posizioni di leadership femminile nel mondo del lavoro.
Lo studio parte da una constatazione: il vecchio modello familiare cui delegare cure e assistenze non esiste più, si vive più a lungo, si va in pensione più tardi e la “rete” di sostegno reciproco da creare fra nonni, zii e cugini è sempre più difficile da costruire. In compenso la spesa pubblica per il welfare è divorata dalla previdenza e solo il 25% del budget è dedicato alla famiglia, agli invalidi e ai poveri (più o meno 1.800 euro procapite, contro i 3.100 della Francia e i 2.500 della Germania).
Va pensato un modello alternativo, che per le aziende può essere un affare. Lo studio, infatti, assicura che «a fronte di un costo per dipendente di 150 euro l’anno, un’azienda può ottenere un beneficio netto di circa 300, due volte superiore ai costi sostenuti». Dai uno in termine di servizi offerti, ottieni due in termini di risparmio nei costi e soprattutto in aumento della produttività . La presenza di un asilo nido, per esempio, fa sì che la madre, terminato il periodo di maternità  previsto dalla legge, torni al lavoro 1,6 mesi prima, generando un minore costo di 1.200 euro. La possibilità  di organizzare un servizio di assistenza per genitori anziani, considerata una riduzione di assenze del dipendente del 15%, fa risparmiare all’azienda 1.350 euro l’anno. Non solo, se il valore del servizio offerto vale 100, la percezione che il collaboratore ne avrà  in termini di vantaggio ottenuto varrà  175, dando vita anche ad un rapporto di fedeltà  e di maggiore “dedizione” verso chi li ha forniti. E in alcuni casi, precisa lo studio, la possibilità  di accedere a tali servizi è preferita ad un aumento di stipendio.
Certo, per ottenere tali vantaggi bisogna fare in modo che il welfare sussidiario vada incontro alle reali necessità  dei dipendenti. «La tipologia dei servizi richiesti cambia notevolmente a seconda delle fasi del ciclo di vita del lavoratore ». Dall’indagine risulta che ai primi tre posti della classifica dei “desideri” ci sono la cura degli anziani, gli orari flessibili e i congedi parentali. Asili nido fuori o dentro l’azienda arrivano dopo. Conta anche l’età : a vent’anni si preferisce l’orario flessibile o i servizi salva-tempo (come la lavanderia o la spesa portata in ufficio), a trenta vanno forte gli asili nido, a quaranta i campus estivi per i figli più grandi, oltre i cinquanta il servizio agli anziani o le assicurazioni sanitarie.
Non bisogna nemmeno pensare che avviare tale politica possa essere talmente costoso da impedirne l’accesso alle imprese minori: essere piccoli può portare a soluzioni alternative. Basta mettersi in rete con le altre aziende della zona, per esempio, cercando magari il coinvolgimento degli enti locali. In Italia esistono già  esperienze del genere (da Novara a Modena) e i risultati dicono che ne vale la pena. «A volte — conclude la ricerca — adeguare un piano di welfare non comporta per l’azienda spendere di più, ma spendere meglio». Il potere contrattuale di un’impresa, per esempio, permette di acquistare “servizi per la famiglia” a un costo inferiore del 20% rispetto al prezzo di mercato pagato dal singolo lavoratore.


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