Cantieri in ritardo e fondi a secco

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VISTA da lì, dal cuore del cantiere, Expo è ancora una scommessa. E ce ne vuole di immaginazione per sovrapporre quella distesa di terra e scavi, ruspe e fango, con le immagini scintillanti delle simulazioni al computer che dipingono una cittadella tecnologica nel verde. Poco più di sette anni, 2.585 giorni: è il tempo che Milano aveva a disposizione per organizzare la sua occasione. Il suo grande evento. E adesso che all’inaugurazione del 1° maggio 2015 di anni ne mancano solo due, di tempo da perdere non ce n’è più. Quei 700 giorni sono diventati pochissimi. Ormai bastano 13 giorni di neve e pioggia a far partire l’allarme: 13 giorni di lavoro perduti dall’inizio del 2013, che hanno fatto scattare i doppi turni. Può dare l’idea di quanto l’Esposizione sia diventata una corsa a ostacoli. Per farcela, bisognerà  tagliare tutte «le curve», raccontano gli uomini di Expo. Ogni intoppo, ogni possibile ricorso al Tar rischia di far saltare una tabella di marcia già  stretta. È necessario imboccare la corsia veloce, hanno concordato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. E, di fronte al pericolo di non rispettare l’appuntamento con il mondo, è partito l’appello al governo: serve una legge speciale che replichi le deroghe concesse in passato al Giubileo o alle Olimpiadi di Torino. E serve un super-commissario con super poteri che possa accelerare i cantieri. Sarà  possibile recuperare i ritardi? E soprattutto: cosa è destinata a diventare Expo?
IL GIOCO DELL’OCA
Lavorare a Expo è come stare sulle montagne russe, spiegano gli uomini del 2015. Un grande gioco dell’oca dove a ogni nuovo passo si rischia di bloccarsi. Ma Expo è anche un simbolo. Quel milione di metri quadrati distesi tra Milano e la Fiera di Rho-Pero sono un laboratorio per capire il capoluogo e, forse, anche un po’ l’Italia: lì, per i primi tre anni, si sono agitate le forze contrapposte della città  e si sono consumate liti e risse in casa centrodestra. Per più di tre anni, il Grande Evento non aveva neppure la proprietà  dei terreni dove montare i padiglioni. Per avere la percezione di quanto ci sia ancora da fare, forse, basterebbe un altro numero, 963: sono i milioni che, su un totale di 1,3 miliardi, gli enti pubblici devono ancora versare nelle casse della società  che gestisce Expo per realizzare la smart city dedicata al cibo e alla sostenibilità , più annessi e connessi. Il governo, in particolare, deve ancora staccare un maxiassegno da 640 milioni (su 833). È la dimostrazione di quanto la maggior parte dell’attività , ormai, sia concentrata da qui al 2015. E anche di come il budget debba essere difeso dai tagli sempre possibili in piena crisi economica.
LA GRANDE CORSA
Pisapia e Maroni hanno stretto un patto d’acciaio per allontanare il rischio di un flop: ci vuole una legge speciale. La proposta è stata spedita a Roma e si aspetta il verdetto dal Consiglio dei ministri, martedì prossimo. Ci vuole anche un commissario unico, dicono, un “Mister Expo” «con pieni poteri di deroga che lavori 24 ore su 24». Anche se la Cgil di Milano chiede cautela. Comune e Regione vorrebbero affidare il timone all’attuale amministratore delegato della spa di gestione, Giuseppe Sala. Che concorda: «Expo ha una deadline precisa: per questo ci servono poteri speciali, anche solo in via precauzionale». Non può fare la fine delle tante opere pubbliche italiane impantanate tra burocrazia e traguardi mancati. Le ruspe sono al lavoro su quell’irregolare triangolone di terra: siamo alle fondamenta. Finora sono stati realizzati lavori per circa 35 milioni. Alla fine del 2013, l’obiettivo è di arrivare a 160 milioni, il 30 per cento del percorso: allora inizieranno anche a spuntare i primi edifici. Il gioco diventerà  ancora più duro nel 2014, quando il cantiere dovrà  produrre opere per 340 milioni, il resto (circa 50 milioni) nei primi mesi del 2015. È questo, però, il momento della verità : il prossimo dicembre, dovranno essere consegnati ai Paesi i lotti di terra completamente attrezzati per permettere agli ospiti di costruire i loro padiglioni. È allora che i cantieri si intrecceranno e l’area si trasformerà  in un gigantesco cantiere a cielo aperto. Ma cosa è avvenuto delle promesse fatte alla città ?
LE SPERANZE DELUSE
Era il 31 marzo del 2008, quando la città  festeggiò la conquista internazionale. Milano, prometteva la protagonista – nel bene e nel male – di quella partita, l’ex sindaco Letizia Moratti, sarebbe stata rilanciata grazie all’Esposizione: 4,1 miliardi di investimenti diretti per il sito espositivo, altri 11 per autostrade, strade e metropolitane da troppo tempo al palo, turismo (29 milioni di biglietti staccati), verde (500mila nuovi alberi), posti di lavoro (70mila), vie d’acqua (oggi ridimensionate) per collegare i padiglioni alla vecchia Darsena di Milano, vie di terra (cancellate). Molte di quelle promesse sono già  cadute sotto l’urto della crisi e del tempo che se n’è andato. È ancora un’occasione, ripetono le istituzioni. «Il primo grande evento del dopo crisi», dice Pisapia. Una ricerca della Bocconi ha appena riconfermato le possibilità : in tutta Italia, 199mila posti di lavoro e una produzione aggiuntiva di 24,7 miliardi. Ma siamo ancora alle proiezioni e, ora, bisogna dare forma alle ambizioni. I visitatori attesi sono diventati 20 milioni, 24 milioni i ticket da vendere: per centrare l’obiettivo servirà  una campagna globale. Il budget è stato tagliato e, delle tre linee di metrò annunciate solo una, la 5, si presenterà  all’appuntamento; la linea 6 è stata cancellata, per la 4, attesa da anni, sarà  un miracolo riuscire a inaugurare 2 fermate (su 21). Anche tutto il corposo elenco di strade, autostrade e collegamenti ferroviari, che era stato agganciato al convoglio del 2015, langue. Molte opere sono finite sotto un capitolo dal titolo inequivocabile: “Oltre l’orizzonte di Expo”. Le altre, quelle essenziali, viaggiano tutte con uno se non due anni di ritardo e hanno date di consegna da brivido: aprile 2015, dicembre 2014 nel migliore dei casi. Ma che città  sarà  quella di Expo?
MILANO CHIAMA MONDO
Il segno tangibile dovrebbe essere la Darsena, l’antico porto di Milano riportato a nuova vita. Ma a due anni dall’inaugurazione c’è soprattutto una città  da attrezzare per accogliere i turisti. Il Comune ha preparato un dossier con tutti i lavori che serviranno: dalla segnaletica stradale all’arredo, da un palinsesto di eventi diffuso ai volontari da cercare. Da fare ce n’è, anche se le casse sono vuote: per questo Pisapia invoca da tempo una deroga al patto di stabilità , finora mai accolta dal governo. Sala non nasconde le difficoltà , anche se ripete: «Dobbiamo crederci. È l’unica occasione di sviluppo che abbiamo». Come è cambiato il progetto? E soprattutto, si riuscirà  a evitare il rischio di organizzare solo una fiera commerciale? Il disegno originario del gigantesco Orto planetario con tutte le vegetazioni e i cibi del mondo è stato cancellato da tempo. Adesso, tra Milano e Rho sorgerà  una smart city dove la tecnologia spruzzerà  un po’ tutto e i padiglioni tematici dove vedere il supermercato del futuro o il rapporto tra arte e cibo si alterneranno a quelli comuni in cui i Paesi si riuniranno attorno a temi come il riso o il caffè. Il nuovo corso piace alle aziende e piace ai Paesi. Lo dimostra il contatore delle adesioni internazionali, che è arrivato a 126. Il traguardo dei 130 ospiti probabilmente verrà  superato: Expo è già  vicino al tutto esaurito. Quello che si metterà  in mostra sarà  soprattutto un nuovo mondo: la lista degli Stati in via di sviluppo è lunga, così come a fare da padrone sono i colossi emergenti. Non solo la Cina, che ha prenotato quasi 4mila metri quadrati e promette investimenti superiori a 50 milioni, ma anche gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, molti giganti asiatici.
L’EREDITà€ DEL 2015
E poi c’è il post Expo. L’Esposizione dura sei mesi. E poi? Cosa ne sarà  di quei terreni e degli investimenti pubblici fatti per trasformarli? È allora che si dovrà  lavorare per costruire l’eredità  da lasciare a Milano. Finora si sono rincorse le idee più diverse: da una cittadella della giustizia alla sede della Rai fino al nuovo stadio dell’Inter. Gli enti locali hanno promesso un grande parco e case low cost, nel Padiglione italiano la Camera di Commercio vorrebbe creare un polo dell’innovazione. Per il resto, nulla. È arrivata l’ora di iniziare a progettare il futuro. Comune e Regione sono soci alla pari di una società  (ne fanno parte anche Fondazione Fiera, Provincia e Comune di Rho) creata per acquistare le aree. Perché Expo, in fondo, è nata attorno a un peccato originale: quella terra, agricola sulla carta, non era pubblica. Domani, raccontano i piani finanziari, sarà  al centro di un’operazione immobiliare da almeno 320 milioni. Cosa sorgerà  al posto dei padiglioni?


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