Casa reale e infanta coinvolte in un mega-sistema di tangenti
MADRID. «La legge è uguale per tutti», aveva detto il re nel suo ultimo discorso alla nazione e lo ha ribadito il giudice José Castro (il magistrato che indaga sul caso di corruzione che sta travolgendo il genero del monarca Ià±aki Urdangaràn), spiegando la decisione di iscrivere nel registro degli imputati anche l’infanta Cristina, secondogenita di Juan Carlos I e moglie di Urdangaràn. Dopo averla lambita, il fango della corruzione macchia direttamente anche la casa reale, che finora aveva cercato di mantenere l’infanta (e quindi il nome dei reali di Spagna) fuori da questo scandalo che potrebbe costare caro al prestigio, già in picchiata, della monarchia. O persino al trono del re, che inizia a vacillare sotto l’uragano delle tangenti in famiglia e dai numerosi scivoloni degli ultimi mesi.
Tutti motivi che accrescono la tensione nelle stanze reali, dove con malcelato disagio si attende la cruciale deposizione di doà±a Cristina, fissata per il prossimo 27 aprile nel tribunale di Palma di Maiorca. Una data da ricordare, perché, per la prima volta, un membro diretto della famiglia reale siederà al banco degli imputati. Il giudice ha motivato la storica decisione facendo riferimento ad una «necessaria cooperazione» di Cristina di Borbone nelle attività illecite dell’Institàºto Nà³os, la fondazione diretta dal marito insieme al socio Diego Torres.
La versione di Urdangarìn
Secondo i magistrati l’istituto avrebbe utilizzato il nome della casa reale e dell’infanta per intascare tangenti milionarie in cambio di patrocini e appoggi istituzionali. Il tutto – secondo la versione di Urdangaràn – all’insaputa della figlia del re. Una versione un po’ fragile, in realtà , soprattutto se si considera che l’infanta faceva parte del direttivo dell’istituto e che il socio di Urdangaràn, Diego Torres, nel tentativo di scampare al suo destino di vittima sacrificale, ha messo a disposizione dei giudici delle e-mail dalle quali risulterebbe che doà±a Cristina riceveva dal marito aggiornamenti sulle malversazioni che avvenivano all’ombra dello scudo borbonico. E infatti, anche per il giudice Castro, qualcosa non torna: «Sebbene non vi siano indizi inconfutabili che indichino un intervento diretto dell’infanta nella gestione dell’Institàºto Nà³os – si legge sulla relazione del magistrato – ve ne sono altri che segnalano un suo consenso all’utilizzo della parentela con il re da parte di Urdangaràn e Torres». La casa reale – che presenterà ricorso – ha dichiarato di rispettare la decisione del tribunale ma si è detta «sorpresa per il cambio di direzione adottato dal giudice», che solo un mese fa aveva evitato di iscrivere l’infanta tra gli imputati. Eppure non c’è molto di cui sorprendersi. Stupisce, semmai, il ritardo con cui i magistrati hanno chiamato in causa la figlia del re. Un ritardo che, fino alla notizia dell’imputazione, aveva alimentato voci di una possibile immunità di doà±a Cristina.
Izquierda unida: era ora
Le reazioni politiche mantengono, per ora, un profilo basso, che fa presagire la tempesta dopo la quiete. Il Pp – anch’esso colpito da un gravissimo scandalo di corruzione e consapevole di una possibile imputazione di suoi dirigenti valenziani nel caso Nà³os – si è prudenzialmente schermito dietro un richiamo al «rispetto della giustizia», e così ha fatto il Psoe, anche se, tra i denti, entrambi i partiti temono per la stabilità istituzionale del paese. Più incisiva Izquierda unida: «Meglio tardi che mai», ha dichiarato il coordinatore Cayo Lara lodando la determinazione del giudice Castro.
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