E l’attivista telefonò a Beppe «Abbiamo circondato il Palazzo»
ROMA – C’è uno che dice di avere il numero del cellulare dell’autista di Beppe Grillo.
Il palazzo di Montecitorio nel riverbero dei lampioni, la folla dietro alle transenne già da tre ore. Attesa all’inizio eccitata, rumorosa. Adesso i carabinieri hanno anche rialzato la visiera del casco.
Il tipo sta cercando il numero nella rubrica del suo telefonino.
«Ecco! L’ho trovato! Aspettate che chiamo…».
Secondi di silenzio.
«Pronto! Ehi… Mi senti?… E certo, sì, siamo tutti qui ad aspettarvi…».
(Smorfia di delusione).
«Nooo… Ma dai… Abbiamo circondato il palazzo…».
(Fa segno di no con il dito indice della mano destra).
«Mhmmm… Ho capito, ho capito… Vabbé, ciao, allora ci vediamo domani».
La notizia che Grillo non verrà nemmeno a notte fonda rotola nei vicoli e arriva fin dentro la piazza del Parlamento. Facce desolate, rammarico, voglia di non crederci. Anche i funzionari della Digos sono ancora incerti, non del tutto sicuri che il comico abbia finalmente accettato di ascoltare i loro consigli che, nell’ultima mezz’ora, sono diventati molto pressanti.
«Aspettiamo… è un tipo imprevedibile e, sul serio, sta viaggiando verso Roma. Ma speriamo capisca quanto può essere pericoloso presentarsi qui, adesso, con l’atmosfera che c’è».
Lo sguardo scorre sui ranghi dei manifestanti, affluiti lentamente quando il comico genovese ha invocato la mobilitazione di massa. Con parole gravi, incendiarie. «Rieleggono Napolitano, è un golpe! Io ho terminato la campagna elettorale in Friuli e sto andando a Montecitorio in camper. Dobbiamo essere milioni».
La gente – centinaia di persone, non milioni – è pressata nelle stradine del centro storico; militanti grillini si sono uniti in corteo a una comitiva di turisti ucraini, due signore con in mano altrettante copie dell’Unità arrivano seguite da alcuni boy-scout, a una ventina di persone con le bandiere di Rifondazione comunista s’è accodato un gruppetto di coatti, a zonzo in via del Corso per lo struscio del sabato pomeriggio e subito incuriositi dal trambusto.
A cavalcioni su una transenna, tutti vengono accolti da un certo Gianfranco Mascia, che urla nel megafono: «L’assedio è cominciato!». Questo Mascia una decina di anni fa si appassionò alle sorti del movimento dei Girotondi, e non si perse un solo sit-in; poi ha guidato il cosiddetto Popolo viola; adesso eccolo lì, non si capisce se grillino o cosa, comunque urla e incita, e allora partono un po’ di cori.
«Ro/do/tà ! Ro/do/tà /! Ro/do/tà !».
«Na/po/li/ta/no… non sei il nostro presidente!».
«Di/mi/ssio/ni! Di/mi/ssio/ni!».
Si alza un cartello: «Clio, riprenditelo».
Laggiù, all’improvviso, la folla ondeggia. Insulti, pugni mulinati minacciosamente nell’aria. Mischione terribile con i fotografi e i cameraman, gli agenti che quando riescono a farsi largo trovano il senatore del Pdl Carlo Giovanardi, piuttosto sorpreso: «Volevo andare a casa… non posso?».
Esce un gruppetto di senatori del M5S, tra cui il già leggendario capogruppo al Senato Vito Crimi. Passo deciso verso i manifestanti. «Via, giornalisti! Via! Via! Con voi non parlo! (in realtà , nessuno gli ha posto mezza domanda). La sua collega capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi, sorprendentemente, ci osserva invece senza il consueto sguardo, dove non capisci mai se prevalga il disprezzo, o la commiserazione. «Non ho capito bene nemmeno io se Grillo, alla fine, verrà … Problemi di sicurezza, comunque, legati alle nostre iniziative, non ci sono mai stati. Poi, certo, se si infiltra qualcuno…».
In ordine sparso, a stringere mani ai manifestanti, si scorgono i parlamentari grillini Castelli, Scibona, Girotto, Terzoni. Il portavoce Rocco Casalino, ex concorrente del Grande Fratello, abito nero come la camicia (con cravatta turchese), per una volta resiste e si tiene distante dalle telecamere. Non come il deputato Alessandro Di Battista, ex cooperatore sulle Ande, che — pure stavolta — non rinuncia a mettersi in favore; poi, si volta, e tutto nervoso, fa: «Lasciatemi fare il mio lavoro!» (un giornalista televisivo tedesco resta basito: «Ma perché fare tutta facciona cattiva, questo, eh?»).
Arriva un fotografo e racconta che, in via della Missione e in via dell’Impresa, è volata qualche monetina, auto blu dei parlamentari sommerse da fischi e sputi (a bordo di una di queste auto c’era Ignazio La Russa che, l’altro giorno, qui alle transenne, s’è già beccato un brutto ceffone sul collo).
Si avvicina un funzionario della Digos. Voce bassa, complice.
«No, Grillo non viene. E’ ufficiale».
Ha capito che…
«Gli abbiamo fatto capire. Con le buone, come è noto, si ottiene tutto».
Related Articles
IL DIRITTO DI CHI VOTA
NON c’è riforma più tradita di quella che riguarda il sistema elettorale. I partiti ne discutono, inutilmente e strumentalmente, ormai da otto anni. Da quando il centrodestra berlusconiano, già allora dilaniato dalle contese ereditarie e dalle confusioni identitarie, impose al Parlamento e al Paese la famosa «legge porcata».
Il Paese fluido che ha smarrito la fede
È FINITA una lunga stagione politica, durata quasi settant’anni. Segnata da sentimenti di appartenenza e ostilità partigiana. E da grande stabilità elettorale. Quell’epoca pare alla fine, come l’Italia della continuità. Dal 1948 al 2008 ha presentato una mappa del voto coerente e con poche novità. Perché gli italiani, in fondo, votavano allo stesso modo, da un’elezione all’altra.