I postcomunisti tedeschi contro la Casa della Barbie
BERLINO — L’appuntamento è fissato per il 16 maggio, il giorno dell’apertura. Ci sarà un sit-in, non un’occupazione. I giovani della Linke, il partito di sinistra che affonda parte delle sue radici nella Germania di una volta, quella della Stasi e delle Trabant, non vogliono che la «casa dei sogni» di Barbie, realizzata a grandezza naturale nei dintorni di Alexanderplatz, diventi il luogo di una «propaganda sessista». E si stanno organizzando, anche con una pagina Facebook che ha avuto già qualche centinaio di adesioni. Non l’hanno detto, ma il loro obiettivo è evitare che le bambine paghino un biglietto di 22 euro per pettinare le bambole, come si direbbe da noi.
Nella Dircksenstrasse, la strada che dal megacentro commerciale Alexa corre verso Jannowitze Brà¼cke (una delle «stazioni fantasma» della metropolitana che furono chiuse dopo la costruzione del Muro), un quartetto di annoiati vigilantes fa la guardia al regno del consumismo in rosa che sta per essere finito di costruire. Tutto è quasi pronto, come si dice sempre. Saranno 2.500 metri quadrati di frivolezze, tutti dedicati alla bambola di plastica venduta in oltre un miliardo di esemplari nel corso della sua ormai ultracinquantenaria esistenza. Le piccole visitatrici potranno aprire gli armadi di Barbie, sfilare su una passerella con i suoi vestiti, truccarsi nella stanza dei cosmetici, partecipare a corsi di pasticceria, esibirsi nel karaoke.
Tutto questo è abbastanza per fare dire a Franziska Sedlak, militante della Linke, che la «casa dei sogni» è il simbolo dell’oppressione femminile. «Si suggerisce che il solo ruolo delle donne sia quello di essere belle, portare scarpe con i tacchi alti e avere sempre nel forno una torta da cuocere. Modelli di comportamento trasmessi durante l’infanzia possono esercitare un’influenza durante tutta la vita», ha spiegato Sedlak alla Tageszeitung. «Quando abbiamo sentito parlare di questa iniziativa è stato subito evidente che bisognava opporsi», ha aggiunto il portavoce dell’organizzazione, Michael Koschitzki. Al di là di questi proclami, è anche vero che secondo quanto ha concluso uno studio dell’Università del Sussex, giocare con Barbie rende le bambine insoddisfatte del proprio aspetto fisico. Meditate, genitori. E come si difendono i promotori di questa gigantesca carnevalata? Christopher Rahofer, responsabile della ditta di marketing che ha ottenuto la licenza dalla Mattel (il colosso dei giocattoli che produce Barbie), ha dichiarato a Der Spiegel che si tratta di «un’esperienza interattiva» e non di «una mostra educativa». Possiamo scommettere che non sarà un sit-in a fermarlo. La «casa dei sogni» rimarrà qualche mese a Berlino e poi, per il sollievo della Linke, dovrebbe trasferirsi in altre capitali europee. Intanto, la vice presidente del partito, Sahra Wagenknecht, ha stupito un po’ tutti quando ha detto che in casi di emergenza come quello di Cipro non bisognerebbe toccare i conti correnti di chi ha fino a 300 mila euro ma solo quelli di «milionari e miliardari». Come Barbie, insomma.
Paolo Lepri
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