Il fronte (da Renzi a D’Alema) che punta su Prodi per il Colle

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ROMA — Il primo, inequivocabile, indizio è la presenza quasi quotidiana di Arturo Parisi alla Camera e il suo insistere sul fatto che «all’Italia serve un De Gaulle». Il secondo è l’intervista di Graziano Delrio all’Unità , per spiegare che «Prodi al Quirinale sarebbe una figura di garanzia». Il terzo è rappresentato dalle parole di Matteo Renzi a Porta a Porta: «Prodi è uno dei candidati. Berlusconi farà  di tutto pur di averne un altro, ma tutto dipende da un fatto: se si farà  o meno l’accordo con il centrodestra». Il quarto lo fornisce sempre il sindaco di Firenze quando annuncia il suo «no» a Franco Marini. Insomma, per farla breve, lo scontro congressuale del Partito democratico si è spostato sul campo di battaglia del Quirinale: in questo momento si stanno confrontando due armate, una punta su Prodi, l’altra su Marini. E una cosa è certa: ci saranno morti e feriti.
Bersani, che l’altro ieri mattina ha sondato Veltroni e ieri D’Alema e Bindi, in questi giorni ha fatto il nome di Marini come quello di un possibile candidato condiviso con il Pdl. Ma Veltroni, che ha invitato il segretario a consultare maggiormente il Pd in questo frangente delicato, perché, altrimenti, per dirla con Ermete Realacci c’è il rischio che «i gruppi parlamentari non diano una risposta convinta alla proposta che verrà  fatta», non pensa che Marini possa essere il candidato giusto, pur apprezzandolo e stimandolo. Anche D’Alema ha delle perplessità , legate all’identikit del futuro presidente della Repubblica. Secondo l’ex premier il nuovo capo dello Stato deve avere «credibilità  internazionale». Fioroni e Franceschini, invece, non la pensano così: loro sono posizionati su Marini e non vorrebbero discostarsi di lì.
Ma ora che Renzi ha ufficializzato il suo «no» all’ex presidente del Senato, proprio dopo l’incontro con D’Alema, i giochi sono cambiati. L’ex premier sta cercando un candidato condiviso. Non con il Pdl. Ma prima di tutto dentro il Pd perché capisce che sennò non si va da nessuna parte. Perciò ha voluto parlare con Renzi e ha cercato di convincere Bersani a seguire un percorso più lineare. A D’Alema Prodi non dispiace. E nemmeno a Veltroni. Infatti Fioroni cerca di correre ai ripari: «Renzi e gli altri che vogliono un presidente divisivo non pensano all’interesse generale del Paese».
E Bersani, che pensa di Prodi? L’altro giorno Angelo Rughetti, neo deputato renziano, ragionava così con un capannello di colleghi di partito: «Mi pare che siamo alla “nuova” politica dei due forni. C’è il piano A, che prevede l’accordo con Berlusconi per Marini al Quirinale e un governo Bersani delle “quasi larghe intese”. Poi c’è il piano B: accordo con il Movimento 5 Stelle per Rodotà  o un personaggio simile, che garantirebbe l’incarico a Bersani, ma in questo caso gli sarebbe più difficile ottenere la fiducia». Le riflessioni ad alta voce di Rughetti sono condivise da molti. Ma la domanda che si fanno tutti o quasi è questa: «Come farà  Bersani a dire pubblicamente no a Prodi?». Già , il progetto è di mettere il segretario con le spalle al muro e metterlo di fronte a un bivio: dire ufficialmente che in nome dell’accordo con Berlusconi preferisce sacrificare il leader fondatore dell’Ulivo o accettare la candidatura di Prodi? La novità  in questo campo è anche un’altra: Casini, che ieri ha visto pure lui Bersani, si sta spostando su Renzi perché con il sindaco di Firenze candidato premier non avrebbe problemi a schierarsi con il centrosinistra. E il leader dell’Udc non disdegna l’idea di appoggiare Prodi.
Insomma, i giochi per il Quirinale in casa democratica sono complicati, anche se si sta lavorando per trovare un’unità  interna su un nome (ma Matteo Orfini, per esempio, ancora ieri sparava sia su Prodi sia su Marini). E anche in questo campo Renzi ha introdotto la sua innovazione: «Non pugnalerò mai Bersani alle spalle e non vi saranno franchi tiratori». Insomma, il dissenso verrà  reso pubblico, con gli effetti mediatici che ne conseguiranno. Alla luce di queste vicende l’esclusione del sindaco di Firenze dai grandi elettori operata da franceschiniani e bersaniani assume un significato prettamente politico, che non può essere derubricato a fatto locale.


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