Il leader proporrà  un solo nome Sullo sfondo la sfida con D’Alema

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ROMA — Bersani proverà  a giocare la carta-Prodi. Dopo una serie di colloqui notturni con i big del Pd, il segretario si è convinto di tentare la candidatura dell’ex premier dell’Ulivo. Anche per fronteggiare l’offensiva di Matteo Renzi, che vuole portare al Quirinale proprio Prodi. Se al leader del Pd non riuscisse questa mossa, allora si ricorrerà  alle «Quirinarie» con una rosa di cinque nomi: oltre all’ex presidente della Commissione europea ci sarebbero Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro, Luciano Violante e Sergio Mattarella.
Renziani, giovani turchi e franceschiniani avevano posto ostacoli all’ipotesi delle primarie per il Quirinale. Osservava Pina Picierno: «Così rischiamo di spaccare il partito. Deve essere il segretario a fare una proposta, senza bisogno di questa messinscena». È stata una notte di trattative e liti quella di ieri, per arrivare a una decisione. Raccontano che le «Quirinarie» siano venute in mente a D’Alema. Le avrebbe suggerite lui a Bersani, facendogli questo ragionamento: così ogni parlamentare potrà  esprimersi, però poi quel voto vincola tutti a comportarsi di conseguenza anche in Aula.
Tutta questa vicenda del Quirinale altro non è che «un congresso del Pd», tanto per usare le parole di Ivan Scalfarotto. Con questa chiave di lettura si capiscono tante cose all’apparenza inspiegabili: errori, approssimazioni, tatticismi. Per esempio, era chiaro ai più che Marini sarebbe stato bocciato. Il governatore della Liguria Claudio Burlando aveva capito l’antifona già  l’altro ieri sera, all’assemblea dei gruppi del Pd e infatti aveva chiesto ai vertici del suo partito: «Ma avete avvertito Marini dei rischi?». No. Nessuno lo ha fatto.
La mattina dopo, da Firenze, Matteo Renzi pronostica: «Se non passa alla prima votazione è finito». Facile profezia. È andata come aveva detto il giorno prima Marianna Madia: «Non saranno solo i renziani a non votare». E, comunque, per dirla con Paolo Gentiloni «è impensabile scegliere il candidato per il Quirinale senza coinvolgere Matteo che rappresenta il 40 per cento dei nostri elettori». Obiezioni e ragionamenti che si scontrano con un interrogativo: «Perché Bersani è andato avanti lo stesso, andandosi a scontrare contro il muro?».
Già , perché? Il sindaco di Firenze fornisce la sua risposta: «Ha pensato “meglio fare una figuraccia che dare il partito, anzi la ditta, a Renzi”». Il quale Renzi, però, si dà  un gran da fare. I suoi votano per Sergio Chiamparino. Un po’ di voti al primo scrutinio, una novantina al secondo. Sì, sono aumentati dopo che l’ala laica di Scelta civica si è incontrata con una delegazione di renziani. Anche Walter Veltroni chiama per sapere come può aiutare. E il tam tam di Montecitorio dà  il nome di un outsider: il sindaco di Torino Piero Fassino.
Fuori della Camera si è radunata una piccola folla. C’è chi brucia le tessere di partito, chi urla epiteti all’indirizzo dei dirigenti del Pd. Dentro si consumano le ultime manovre di questo congresso democratico. Spiega Matteo Colaninno: «Questo non è stato un voto contro Marini ma contro Bersani, finirà  per andare a sbattere».
Nel frattempo le agenzie trasmettono le notizie che vengono dall’Emilia: il segretario regionale Stefano Bonacini e tutti gli altri vertici del Pd locale chiedono che non si voti Marini. Alcuni fanno esplicitamente il nome di Prodi. I giovani democratici cominciano a occupare le sedi del Pd in Toscana. «Il comunicato di Bonacini è il nostro ordine del giorno Grandi», sorride un deputato dei «giovani turchi», che non ha gradito affatto il modo in cui Bersani ha gestito tutta la trattativa per il Quirinale.
Dopo che Marini subisce la prima bocciatura si capisce come andrà  a finire. «Non l’ho giocata male, no?», chiede Renzi agli amici. Il sindaco di Firenze, però, respinge l’accusa di aver spaccato il partito: «La spaccatura l’ha provocata chi ha gestito questa vicenda del Quirinale». Cioè Bersani, il quale si è ormai acconciato a dire definitivamente addio al suo sogno di «governo di minoranza». Fosse per lui lascerebbe la presa adesso e «farebbe girare la ruota». Ma i suoi fedelissimi non vogliono che il segretario molli, non si sentono sicuri: «C’è Renzi alle porte», avverte Nico Stumpo. E il capannello di deputati accanto a lui annuisce e rabbrividisce.


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