Il rebus dei veti incrociati: prodiani ed ex dc in fermento

by Sergio Segio | 17 Aprile 2013 6:47

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ROMA — «Ma che partito è mai questo?». Sono le quattro del pomeriggio e Rosy Bindi, nel Transatlantico di Montecitorio, sta perdendo la pazienza per il modo (per nulla compatto) in cui i democratici si preparano al voto sul Quirinale: «Chi lo ha detto che con Amato si fanno le larghe intese e con Prodi si va a votare? Il governissimo non si farà  perché il Pd non lo vuole…». Così la presidente del partito, che da prodiana non accetta «veti» sul fondatore dell’Ulivo, prova a stoppare le tentazioni di larga parte del Pd.
Manca una manciata di ore e Bersani gioca ancora a carte coperte, l’incontro con Berlusconi è possibile ma non scontato e la strategia di Grillo sta mettendo in difficoltà  il Pd. «Rodotà  è un ottimo candidato», ammette il bersaniano Corradino Mineo. Il segretario ha anche i suoi problemi sul fronte interno, a cominciare dal Problema con la maiuscola: Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze ha impallinato Marini e Finocchiaro e ieri l’ex presidente del Senato e la ex capogruppo sono andati al Nazareno per un chiarimento con il leader, che ha visto anche Luciano Violante. Bersani ha detto loro che «non sarà  certo Renzi a decidere chi deve andare al Quirinale e chi no», rassicurandoli sul fatto che sono ancora della partita. «Marini e Finocchiaro restano assolutamente in campo», conferma Stefano Fassina.
Sul punto cruciale il segretario non ha cambiato idea: «La crisi del Paese è tale che serve il consenso più ampio su una figura politica forte e in grado di unire, nel Pd e fuori». Massimo D’Alema? O Giuliano Amato? Il «dottor sottile» non pesca voti da Sel, non convince i «giovani turchi», scontenta i prodiani ed è fumo negli occhi per i «popolari» amici di Marini, che ieri hanno spinto molto sul nome di Amato come «candidato di Renzi», con la segreta speranza che il sindaco di Firenze si adoperi per bruciare anche lui. Renzi però è stato alla larga dalla questione e tanti, nel Pd, ne hanno dedotto che Matteo ha cambiato linea e non spinge più per Prodi: in fondo un governo di larghe intese, se fosse breve e mirato alla modifica della legge elettorale, potrebbe far comodo anche a lui… Renzi avrebbe qualche mese per organizzarsi e tentare, magari in autunno, la corsa per Palazzo Chigi. Per tutto il giorno, a chi gli ha chiesto se davvero sia pronto a far votare Amato ai suoi parlamentari, Renzi ha risposto «io non so nulla, sono fuori dai giochi, Bersani non mi ha chiesto niente». Stasera il segretario riunirà  i gruppi e allora anche i renziani, forse, potranno capire il da farsi.
La tensione resta, ma i toni si fanno meno taglienti. «Non ci sarà  nessuna scissione — assicura Renzi — L’importante però è che ci sia un po’ di rispetto». Quando l’inviato di Striscia la notizia gli ha consegnato il tapiro bianco per gli insulti volati nel Pd, l’inquilino di Palazzo Vecchio è stato al gioco: «Noi non sbianchiamo, né smacchiamo. Continuare a parlare delle offese non ha senso». E ora tra i fedelissimi si insinua il dubbio che il loro leader abbia un po’ esagerato. «Matteo ha sbagliato, non doveva fare quella battuta cattivissima su Finocchiaro», lo rimprovera Andrea Marcucci. Matteo Richetti pensa che ci vorrà  tempo «per lenire le ferite» e Dario Nardella propone di «voltare pagina» e concentrarsi sul Quirinale. Molti renziani ritengono, come Roberto Reggi, che Prodi abbia «il profilo ideale». L’ex premier ha tenuto una lectio magistralis all’Angelicum e ha schivato abilmente tutte le domande sul Quirinale, ma non si è tirato fuori dalla corsa…

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